mercoledì 29 giugno 2016

"BREXIT".....ALCUNI PARERI....


DA "MicroMega" on line


CARLO FORMENTI - Brexit, uno spettro si aggira per l'Europa: la democrazia

cformenti


Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel Paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi.

In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando.

In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.

In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5Stelle sull’Europa sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a qualcosa…).

In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.

Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche.

Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché falcidiato da precariato, redditi miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene da fuori e dal basso.

Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i Paesi europei – che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso, dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos), del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza.

Il populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc. trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del lavoro, costruire organismi di democrazia diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma di esistente di democrazia è appunto il populismo.

Carlo Formenti

(28 giugno 2016)

martedì 28 giugno 2016

"BREXIT"...ALCUNI PARERI



DA "MicroMega "on line


GIORGIO CREMASCHI - Brexit, l'inizio della fine per l'Europa delle banche e dell'austerità

gcremaschi




Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime di chi come noi era per la Brexit, il popolo britannico ha detto basta alla UE. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika.

Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili e dobbiamo stare con chi sceglie la democrazia.

Con questo voto muore subito il TTIP, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della UE dell'Euro, delle multinazionali, delle banche e soprattutto dell'austerità.

Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della UE perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader. Anche in questi giorni c'è stato chi ha detto che si sta nella UE per cambiarla, peccato che la UE sia indisponibile a qualsiasi cambiamento vero e come tutte le tirannie può solo crollare, non cambiare.

Nel no alla UE è stato decisivo il popolo laburista, che non ha seguito le indicazioni del suo establishment politico e sindacale, ma ha premiato l'impegno di minoranze coraggiose, come il glorioso sindacato dei ferrovieri che abbiamo conosciuto come Eurostop. Minoranze oscurate dai mass media, ma che sono state determinanti.

Il popolo della sinistra britannica ha chiarito che sinistra ed europeismo oggi sono incompatibili e che la battaglia contro la UE delle banche è stata egemonizzata finora da forze di destra perché la sinistra ufficiale ha abbandonato il suo popolo. Ora questo popolo ha bisogno di altri rappresentanti, che in nome della eguaglianza sociale e della democrazia e non dei mercati, ricaccino le destre dal terreno abusivamente occupato.

Ora si apre l'epoca del coraggio e tutto si rimette in moto, sarà dura ma questo voto mostra che l'epoca della globalizzazione senza diritti sociali è finita, sono gli stessi mercati a crollare sul potere di argilla che hanno costruito. Tornano i popoli, gli stati, le politiche economiche, i diritti sociali e del lavoro. Sarà dura e non sarà breve, ma c'è tutta una classe dirigente europea da rottamare. Cominciamo qui votando NO al referendum di ottobre e mandiamo a casa Renzi e la sua controriforma costituzionale, voluta dalla UE delle banche. E dopo la Renxit avanti con la Italexit. Grazie al popolo britannico che come nel 1940 dà il via al percorso di liberazione dell'Europa, gli Spitfire sono spuntati dalle urne.

Giorgio Cremaschi

(24 giugno 2016)

venerdì 17 giugno 2016

"USCIRE DALL'EURO........."


Gentili lettori vi propongo questo nuovo articolo, tratto da "Associazione -Economia per i CITTADINI, (www.enricoberlinguer.it) "allo scopo di formarvi un'opinione personale sull'eventuale uscita dell'Italia dall'euro.
L'articolo in questione richiede un po' di pazienza nella sua lettura perché è articolato quindi un poco lungo, personalmente l'ho trovato interessante, soprattutto in relazione alle "grida"terroristiche di taluni giornalisti o altri personaggi politici e non, e uomini di cultura. 
Tengo a precisare che le argomentazioni lette sono avulse da ideologie politiche e interessi di partito, ma,secondo me, sono il frutto di considerazioni esclusivamente tecnico-finanziarie ed economiche.









Ecco perché uscire dall’Euro non è un dramma







 

I

Il terrorismo psicologico de Il Sole 24 Ore. Ecco perché uscire dall’Euro non è un dramma.
Questa mattina, appena acceso il mio pc, mi imbatto in questo divertente quanto vergognoso articolo del 9 novembre scorso de "Il Sole 24 Ore". Al suo interno viene riportato che "l’Europa, la politica e gli economisti farebbero bene a descrivere alla gente che cosa succederebbe ai loro redditi e risparmi nel «day after» di un’uscita dall’euro: l’apocalisse finanziaria."

Ed infatti, gli illustri conoscitori dei sistemi monetari moderni del Sole 24 Ore, ci raccontano che: "Con il controllo sui movimenti di capitale e sui viaggi in Paesi esteri, i rispettivi Governi potrebbero avere il tempo di ristampare gli euro e di convertirli in nuova carta moneta. Il problema è che per arrivare a questo obiettivo servirebbero altre due misure da panico: il congelamento dei conti correnti fino alla loro conversione nella lira o nella dracma […] E qui viene fuori un altro mostro: alle prime indiscrezioni su un ritorno alla vecchia valuta, la gente prenderebbe ovviamente d’assalto le banche per ritirare i depositi in euro e portarli all’estero prima che la banconote vengano ristampate […] i debiti dovrebbero essere immediatamente ridenominati nella nuova valuta in modo da evitare un’ondata di bancarotte istantanee delle famiglie, che vedrebbero il loro debito invariato ma i loro redditi ridotti al minimo per il ridottissimo valore delle nuove banconote […] Il Governo, da parte sua, non starebbe meglio: impossibilitato ad andare sui mercati, e probabilmente snobbato dai vecchi partner europei, dovrebbe azzerare immediatamente il deficit, sospendendo di conseguenza il pagamento degli interessi ai creditori." Queste e altre affermazioni drastiche sono citate all’interno dell’articolo.

 

Questo è, ovviamente, terrorismo psicologico e mediatico allo stato puro!

 

Allora cosa dovrebbe fare lo Stato italiano se uscisse dall’Unione Monetaria Europea?


 

• Innanzitutto possiamo dire che una svalutazione della nuova Lira del’60-70% non è stata stimata da nessuno ma si potrebbe assestare intorno ad un 27% (1 nuova Lira equivarrebbe cioè a 0,98 dollari (il tasso di cambio fra € e $ nel 2002-2003).

C’è da dire comunque che una svalutazione incentiverebbe enormemente le nostre esportazioni, le quali, è sempre bene ricordarlo, terrorizzavano i tedeschi (fino all’entrata in vigore dell’euro che ha di fatto distrutto il nostro commercio estero).

 

• Appena usciti dall’Euro, il Governo dovrebbe cominciare a riscuotere le tasse ESCLUSIVAMENTE nella nuova Lira. Questo comporterebbe che chiunque (dal multimiliardario, all’operaio, al disoccupato, ecc…) deve domandare Lire dato che nessuno le ha.

 

• Questo genera un aumento vertiginoso della domanda di nuova moneta (le nuove Lire), rivalutandola.

 

• Il Governo NON deve convertire i conti correnti in Lire. Li dovrà lasciare in Euro (poichè nessuno ci vieta di tenere dei conti correnti in una valuta estera) e ci penseranno i singoli cittadini a cambiare (vendere) gli Euro in Lire (questo genera un’aumento dell’offerta di Euro che porterebbe sicuramente ad una sua svalutazione e un ulteriore aumento della domanda di Lire - oltre che per le tasse - rivalutando quest’ultime).

 

• Cominciando a tassare nella nuova moneta, vuol dire che il Governo pagherà anche tutti gli stipendi pubblici esclusivamente nella nuova Lira (ciò vale anche per gli stipendi non pubblici; saranno espressi nella nuova Lira).

 

• Una volta stabiliti i punti precedenti, il Governo dovrà attuare una politica di Piena Occupazione (Employer of Last Resort - Datore di Lavoro di Ultima Istanza). Ciò vuol dire che il governo, con una propria moneta sovrana, può acquistare tutta l’occupazione che vuole.

Tutto "l’esercito industriale di disoccupati"', per dirla marxianamente, verrebbe assunto dal Governo ad un salario deciso da quest’ultimo. Tutti i disoccupati avranno così una occupazione (la quale può essere anche in lavori socialmente utili ed in Italia ce ne sarebbero a migliaia da fare: tutela ambientale, riqualificazione e recupero di edifici abbandonati, riassestamento idrogeologico del territorio, assistenza agli invalidi, agli anziani, ai bambini, costruzione di infrastrutture pubbliche, ospedali, scuole, ecc…). Queste politiche di occupazione furono attuate anche sotto la presidenza Roosevelt, con i nomi, ad esempio, del Work Progress Administration, il National Youth Administration o il Civilian Conservation Corps.

 

• Un aumento dell’occupazione (grazie all’ELR) genera un aumento di consumi (la gente lavorando ha più reddito e quindi consuma di più), il quale porta ad un aumento della produzione per le aziende e le imprese, quindi a maggiori investimenti di queste, i quali a loro volta generano un aumento di occupazione, quindi crescita dei redditi, aumento dei consumi, dei risparmi e così via. Si genera un circolo virtuoso che farebbe rinascere l’economia. Questo porta anche ad un ritorno degli investitori (e non come dice Il Sole 24 Ore alla fuga dei capitali la quale sta avvenendo proprio con l’Euro, soprattutto verso gli USA) nel paese poiché vedono l’economia in ripresa e sanno che uno Stato con una propria moneta sovrana può ripagare senza problemi ogni debito che ha espresso nella propria moneta .

Il programma di Piena Occupazione governativa (ELR) terminerà solamente quando l’economia avrà raggiunto un livello tale di sviluppo da garantire la Piena Occupazione senza l’intervento dello Stato. Solo allora il governo rilascerà i lavoratori dall’ELR i quali potranno trovare una occupazione nel settore privato (imprese, aziende, ecc…).

 

• Per quanto riguarda la snobbatura del governo che uscisse dall’Euro, c’è da dire che è tutto l’opposto. Come scrissi nei miei precedenti articoli, la Russia e l’Arabia Saudita, quindi i principali esportatori di risorse energetiche, accettano sempre meno pagamenti in Euro (chissà come mai eh…).

Inoltre tempo fa scrissi anche, prendendo la notizia dal Wall Street Journal (ma che si può trovare anche in italiano su RaiNews24) che la Swift, ovvero l’agenzia belga che si occupa della gestione dei codici elettronici riguardanti le transazioni finanziarie internazionali, venne contattata da due banche di “importanza globale” che le chiedevano di fornire loro i vecchi codici per i sistemi di gestione delle vecchie monete europee, cioè Dracme, Escudo e Lire.

Ovvero, questi due colossi bancari ”hanno preso delle misure” per tornare a gestire le transazioni finanziarie in Lire, Dracme, Escudo.

Tradotto: sanno che saltiamo in aria, che stiamo implodendo.

Quindi diciamo che se una snobbatura c’è e/o ci sarà è proprio nei confronti dell’Euro, non nei confronti del paese uscente dall’UME.

 

• Per quanto concerne il debito pubblico lo Stato si impegnerà a ripagarlo in Lire, cioè nella sua nuova moneta sovrana. Se i creditori accettano tale pagamento bene (meglio Lire che un pugno di mosche), altrimenti non prenderanno nulla e il debito non verrà ripagato (personalmente credo che i titoli detenuti dai pensionati (ad esempio), dal piccolo risparmiatore che ne posseggono uno, vadano assolutamente ripagati nella nuova moneta con cui lo Stato non può mai essere insolvente, come ho scritto qui). La questione del non ripagamento del debito (o della sua parte illegittima, vedasi il caso Ecuador - che io personalmente sostengo - sotto la presidenza di Rafael Correa) è solamente una questione di giustizia sociale o di morale. Il debito espresso nella propria moneta sovrana non è assolutamente MAI un problema, anzi è la ricchezza dei cittadini (per una panoramica generale dell’argomento leggete qui).

 

• Sulla questione dei mutui espressi in Euro si dovrebbe seguire l’esempio della Slovenia che, come ha spiegato egregiamente il professor Michael Hudson nel Summit di Modern Money Theory a Rimini dal 24 al 26 Febbraio scorso, ha ridenominato tutti i mutui nella propria moneta sovrana. Facendo altrettanto potremmo annullare la nostra clausola con l’Euro, pagando il nostro mutuo con le nostre nuove Lire.

 

Ovviamente sarebbe meraviglioso credere che una classe politica indegna come quella italiana, possa attuare una simile politica economica pro-collettività, pro-democrazia, pro-cittadini.

Ma ora sapete che non è vero, che è una enorme balla la favola della TINA (There Is No Alternative - Non c’è alternativa) e dell’austerità necessaria.

Attuare i punti da me pocanzi descritti significa attuare una politica economica di Modern Money Theory, una scienza economica con alle spalle oltre 100 anni di storia del pensiero economico (Marx, Knapp, Innes, Keynes, Lerner, Robinson, Minsky, Goodhart, Godley, ecc…).

Significa dare una speranza concreta, una scialuppa di salvataggio, tendere una mano a chi è stato distrutto, svergognato, umiliato, ridotto alla fame dal crimine dell’Euro.

 

Valerio Spositi





Articolo del 21 Giugno 2012

giovedì 16 giugno 2016

DALL'EURO SI PUO' USCIRE .........(.E SI DEVE USCIRE....)

 

Gentili lettori vi propongo la lettura dell'articolo, qui sotto trascritto, allo scopo di formarvi se lo ritenete opportuno una vostra personale opinione sulla possibilità di uscire dall'euro.



Articolo tratto da "MicroMega"on line:

 

Gallino: Perché l'Italia può e deve uscire dall’euro




di Luciano Gallino, da Repubblica, 22 settembre 2015

L’Italia ha due buoni motivi per uscire dall’euro, un tema di cui si parla ormai in tutta Europa (Germania compresa). Il primo è che, sovrapponendosi alle debolezze strutturali della nostra economia, l’euro si è rivelato una camicia di forza idonea solo a comprimere i salari, peggiorare le condizioni di lavoro, tagliare la spesa per la protezione sociale, soffocare la ricerca, gli investimenti e l’innovazione tecnologica e, alla fine, rendere impossibile qualsiasi politica progressista.

Risultato: otto anni di recessione, che hanno provocato la perdita di quasi 300 miliardi di Pil al 2014 rispetto alle previsioni del 2007; 25% di produzione industriale in meno, un mercato del lavoro di cui è difficile dire quale sia l’aspetto peggiore fra tre milioni di disoccupati, tre-quattro di precari e due o tre di occupati in nero. Grazie ai quali l’Italia detiene il primato dell’economia sommersa tra i Paesi sviluppati, pari al 27% del Pil e circa 200 miliardi di redditi non dichiarati. I costi economici e sociali dell’euro superano i vantaggi.

Il secondo motivo per uscire dall’euro è l’eccessivo ammontare del debito pubblico, il che rende di fatto impossibile per l’Italia far fronte agli oneri previsti dal cosiddetto Fiscal compact e a una delle clausole fondamentali dell’Unione economica e monetaria. Il Fiscal compact prevede infatti che in vent’anni dal 2016 il rapporto debito/ Pil, che si aggira oggi sul 138%, dovrebbe scendere al 60, limite obbligatorio per far parte dell’eurozona. In tale periodo detto rapporto dovrebbe quindi scendere di 78 punti, cioè 3,9 l’anno. In termini assoluti si dovrebbe passare dal rapporto 2200/1580 miliardi di oggi a 948/1580 nel 2035 (da convertire nel rispettivo valore del ventesimo anno).

Vi sono solo due modi di raggiungere tale risultato, e infinite combinazioni intermedie che però non lo cambiano: o il Pil cresce di oltre il 5% l’anno per un ventennio, o il debito pubblico scende di oltre 3 punti percentuali l’anno. Tenuto conto che le ipotesi più ottimistiche di crescita del Pil per i prossimi anni si collocano tra l’1 e il 2% l’anno, e che il servizio del debito — 95 miliardi nel 2015 — continuerà a ingoiare decine di miliardi l’anno, ambedue le ipotesi non sono concepibili.

In altre parole è impossibile che l’Italia riesca a rispettare il Fiscal compact. L’Italia si ritrova così nella condizione degli Stati membri della Ue che attendono di entrare nell’eurozona perché debbono soddisfare alcune clausole previste dal trattato sull’Unione economica e monetaria. Come dire che l’Italia è tecnicamente già fuori dall’eurozona, poiché non è in condizione di soddisfare a una delle clausole chiave: un rapporto debito pubblico/Pil non superiore al 60%. Tale situazione dovrebbe essere invocata per recedere dall’eurozona.

Non sono necessari sfracelli per arrivare a tanto. Basta far ricorso all’articolo 50 del Trattatto sull’Unione europea, comprendente le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona il 1° gennaio 2009. Esso stabilisce che “ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione (paragrafo 1)”. Il paragrafo 2 precisa quali vie il procedimento di recesso deve seguire. Lo Stato che decide di recedere notifica l’intenzione al Consiglio europeo. L’Unione negozia e conclude un accordo sulle modalità del recesso. L’accordo è concluso dal Consiglio a nome dell’Unione.

Dalla lettura dell’art. 50 si possono trarre alcune considerazioni: a) la recessione avviene dopo un negoziato; b) il negoziato è condotto sotto l’autorità del Consiglio europeo, organo politico; c) è dato presumere che quando uno Stato notifica l’intenzione di recedere, determinate misure tecniche, tipo un blocco temporaneo all’esportazione di capitali dallo Stato recedente, siano già state predisposte in modo riservato.

Mentre l’art. 50 ha posto fine all’idea che la partecipazione all’Unione sia per sempre irrevocabile per vie legali, qualche dubbio sussiste sulla possibilità di recedere dalla Uem — la veste giuridica dell’euro — senza uscire dalla Ue, poiché l’articolo in questione menziona soltanto questa. Peraltro la letteratura giuridica ha ormai sciolto ogni dubbio: poiché il trattato sulla Uem è soltanto una parte della struttura giuridica della Ue — esistono Stati membri della Ue ma non dell’eurozona — è arduo negare il principio per cui uno Stato membro possa recedere dalla Uem ma non dalla Ue. Per cui il negoziato per l’uscita dall’euro dovrebbe aprirsi con la dichiarazione di voler restare nella Ue. I costi per la recessione dalla Ue sarebbero superiori ai costi di una sola uscita dall’eurozona. Uno Stato che uscisse oggi dall’Ue si troverebbe dinanzi ad altri 27 Stati, ciascuno dei quali potrebbe imporgli ogni sorta di restrizioni al commercio, oneri doganali, aumenti del prezzo di beni e servizi. L’impossibilità di accedere ai mercati Ue costringerebbe uno Stato ad affrontare costi di entità paurosa.

Resta da chiedersi dove stia il governo capace di condurre un negoziato per la recessione dell’Italia dall’eurozona in base all’art. 50 del Trattato sulla Ue. L’attuale, come quasi tutti i precedenti, è un esecutore dei dettati di Bruxelles, Francoforte, Berlino. Chiedergli di aprire un negoziato per uscire dall’euro non ha senso. Si può coltivare una speranza. Che si arrivi a nuove elezioni, dove ciò che significa recedere dall’euro in termini di ritorno della politica a temi quali la piena occupazione, la politica industriale, la difesa dello stato sociale, una società meno disuguale, sia al centro del programma elettorale di qualche emergente formazione politica. Prima di cedere alla disperazione, bisogna pur credere di poter fare qualcosa.

(22 settembre 2015)
 
 
                                           ______________________
 
A cura dell'autore del blog Marco Buonarroti :
 
Chi è Luciano Gallino?
 
Gallino, Luciano (Torino 1927), sociologo italiano. Nel 1956 fondò, con Adriano Olivetti, un centro di ricerca sociologica e fu uno dei primi in Italia a compiere studi di sociologia industriale e del lavoro. Professore incaricato di sociologia dal 1965 e dal 1971 titolare di una cattedra di sociologia presso l'Università di Torino, ha diretto la rivista 'Quaderni di sociologia' e ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio italiano per le scienze sociali. Negli ultimi anni si è occupato di temi relativi alla scienza informatica e all'intelligenza artificiale.
Tra le sue opere si ricordano: Indagini di sociologia economica e industriale (1962), Questioni di sociologia (1962), Dizionario di sociologia (1978), Informatica e qualità del lavoro (1983), L'attore sociale. Biologia cultura e intelligenza artificiale (1987), L’incerta alleanza. Modello di relazioni tra scienze umane e scienze sociali (1992), Globalizzazione e disuguaglianze (2000).
(da Microsoft Encarta Enciclopedia on line)

martedì 24 maggio 2016

PER NON DIMENTICARE :" 23 MAGGIO 1992 IL GIUDICE GIOVANNI FALCONE............."

Il 23 maggio del 1992 il giudice Giovanni Falcone veniva assassinato in un attentato mafioso.......


Falcone, Giovanni (Palermo 1939 - Capaci 1992), magistrato italiano. All'inizio degli anni Ottanta, nel clima di rinnovato impegno dello stato nella lotta contro la criminalità organizzata e la mafia, Falcone, con l'avallo delle massime autorità giudiziarie, costituì a Palermo una commissione speciale antimafia e, indagando innanzitutto sui rapporti tra la mafia di Palermo e quella di Catania, riuscì a convincere capi mafiosi storici come Antonino Calderone e Antonio Buscetta a collaborare con la giustizia. Il primo grande processo antimafia, reso possibile dalla sua indagine e da quella del suo collega Paolo Borsellino, ebbe luogo a Palermo nel 1986-87 e giudicò quasi 400 imputati. Collaboratore del ministero di Giustizia dal 1991, il 23 maggio del 1992 fu assassinato in un attentato mafioso a Capaci, presso Palermo, assieme alla moglie e agli uomini della scorta.



                              _________________




Post del 19 gennaio 2014 :

Un ricordo di Paolo Borsellino che nasceva il 19 gennaio del 1940



Borsellino, Paolo (Palermo 1940-1992), magistrato italiano. Giudice istruttore, fu membro del pool antimafia, gruppo di magistrati nato per affrontare in maniera organica i procedimenti relativi alla mafia, di cui facevano parte anche Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto. Con questi, durante il maxiprocesso contro la mafia del 1986, sostenne la tesi che Cosa nostra fosse un'organizzazione unitaria, guidata da una direzione di tipo piramidale, la 'cupola', responsabile di tutti i delitti commessi dall'organizzazione. In seguito procuratore aggiunto alla procura di Palermo, il 19 luglio 1992 venne ucciso con la sua scorta in un attentato mafioso.






                                                              Falcone e Borsellino

                                _________________



Post del 21 gennaio 2014 :


Un ricordo di Rocco Chinnici che nasceva il 19 gennaio del 1925

Il giudice Rocco Chinnici,nasceva il 19 gennaio del 1925



Da Vikipedia :

Rocco Chinnici (Misilmeri 19 gennaio 1925- Palermo 29 luglio 1983) è stato un magistrato italiano vittima di mafia

Entrò in Magistratura nel 1952, avendo come prima destinazione il tribunale di Trapani come uditore giudiziario. In seguito fu pretore a Partanna, dal 1954 al 1966, anno in cui pervenne a Palermo ove il 9 aprile prese servizio presso l'Ufficio Istruzione del Tribunale, nel ruolo di giudice istruttore.
Nel 1970 gli fu assegnato il caso della cosiddetta "strage di viale Lazio", in cui figuravano molti nomi di criminali di mafia destinati a successiva maggior notorietà.

Nel 1975, giunto al grado di magistrato di Corte d'Appello, fu nominato Consigliere Istruttore Aggiunto. Divenne magistrato di Cassazione e Consigliere Istruttore dopo altri quattro anni e come tale, in quel 1979 in cui fu ucciso Cesare Terranova, fu chiamato alla carica di dirigente dell'Ufficio in cui già lavorava sull'onda dell'emozione per quel delitto "eccellente"

Altri omicidi eccellenti seguirono non molto tempo dopo, nel 1980, quando la mafia uccise il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile (4 maggio) e il procuratore Gaetano Costa (6 agosto), amico di Chinnici, con cui aveva condiviso indagini sulla mafia i cui esiti i due giudici si scambiavano in tutta riservatezza dentro un ascensore di servizio del palazzo di Giustizia. Dopo questo omicidio Chinnici ebbe l'idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell'Ufficio (poi nota come "pool antimafia"), conscio che l'isolamento dei servitori dello stato li espone all'annientamento e che, in particolare per i giudici, li rende vulnerabili poiché uccidendo chi indaga da solo, si seppellisce con lui anche il portato delle sue indagini.
Entrarono a far parte della sua "squadra" alcuni giovani magistrati fra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con quest'ultimo, per agra coincidenza, condivideva il giorno di nascita, il 19 gennaio. Altro avrebbe legato le tre figure qualche anno dopo.

Rocco Chinnici fu ucciso il 29 luglio 1983 con una Fiat 127 imbottita di esplosivo davanti alla sua abitazione in via Pipitone Federico a Palermo, all'età di cinquantotto anni. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi. L'unico superstite fu Giovanni Paparcuri, l'autista. Ad accorrere fra i primi furono due dei suoi figli, ancora ragazzi.
Ad azionare il detonatore che provocò l'esplosione fu il killer mafioso Antonino Madonia.









"Nè la generale disattenzione nè la pericolosa e diffusa tentazione alla convivenza col fenomeno mafioso, spesso confinante con la collusione, scoraggiarono quest'uomo, che aveva, come una volta mi disse, la religione del lavoro" (Paolo Borsellino)






      La scena dell'esplosione che causò la morte del giudice e della scorta in via Pipitone, a Palermo.
      (Rimase ucciso anche il portiere dello stabile)




Non li dimenticheremo !


marco buonarroti



lunedì 23 maggio 2016

PARENTESI POLITICA:"REFERENDUM COSTITUZIONALE..."

Parentesi politica rispetto alla linea culturale a cui, umilmente, mi sono ispirato nel portare avanti questo blog. Ho pensato allora di dare un modesto contributo alla campagna del referendum costituzionale pubblicando il seguente articolo del "Giornale .it". articolo che sintetizza solo il pensiero di giuristi, senza, quindi, scrivere giudizi  di parte della redazione del giornale.

Marco Buonarroti, autore del blog

 
 
 
dal "Giornale.it":

 

 

Riforme, 50 costituzionalisti dicono no al testo: presentato documento


Cinquantasei costituzionalisti, capeggiati da Valerio Onida, sis chierano contro la riforma costituzionale del governo Renzi, approvata dal parlamento e su cui in autunno ci sarà il referendum confermativo


 
 
Il prossimo autunno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma della Costituzione varata dalla maggioranza e voluta a tutti i costi dal premier Matteo Renzi.




Oltre cinquanta costituzionalisti, capeggiati da Valerio Onida, si schierano contro la riforma, su cui in autunno gli italiani saranno chiamati a esprimersi con il referendum confermativo. Sono cinquanntasei, per l'esattezza, da Francesco Paolo Casavola a Gianmaria Flick, da Franco Gallo a Gustavo Zagrebelsky, per citare solo alcuni dei firmatari che hanno redatto un documento in sette punti, in cui manifestano "preoccupazione" perché il testo della riforma si presenta "come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare ("abbiamo i numeri") anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo".
La preoccupazione dei giuristi verte anche sul fatto che il processo di riforma, "pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si è tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell'appannamento di alcuni dei criteri portanti dell'impianto e dello spirito della Costituzione". I costituzionalisti osservano quindi che "se il referendum fosse indetto - come oggi si prevede - su un unico quesito, di approvazione o no dell'intera riforma, l'elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell'altro, ragioni politiche estranee al merito della legge". Insomma, c'è il rischio, anzi la certezza, che il voto sulla Carta si trasformi in voto politico sul governo. Sarebbe invece profondamente diverso se agli italiani fosse data la possibilità di "votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la riforma in più progetti, approvati dal parlamento separatamente)".
I 56 costituzionalisti firmatari del documento spiegano: "Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l'anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo ma di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche. Alla luce dei motivi esposti nel documento pur essendo noi convinti dell'opportunità di interventi riformatori che investano l'attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni l'orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma. Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell'organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch'esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario".

venerdì 6 maggio 2016

STORIA E LETTERATURA :" IL CINQUE MAGGIO" ... NAPOLEONE E..MANZONI

Il 5 maggio ci ricorda Napoleone Bonaparte e Alessandro Manzoni.

Napoleone mori nell'Isola di Sant'Elena il 5 maggio 1821

Manzoni fu l'autore della più famosa delle poesie civili dedicata alla morte di Napoleone, intitolata "Il cinque maggio", chi non ricorda i versi studiati sui banchi di scuola :



                                                                       
Alessandro Manzoni
"Ei  fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.










Napoleone sul letto di morte a Sant'Elena

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.





A Parigi,nel Musée de l'Armée, sono conservati i resti di Napoleone
                          
 Dall'Alpi alle Piramidi 
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tani,
dall'uno all'altro mar.                                              


Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.






La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,                                                  
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.









Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.





Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
 




E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
 





Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,

che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò



 Napoleone I (Ajaccio 1769 - Sant’Elena 1821), imperatore dei francesi (1804-1814; 1815) e re d’Italia (1805-1814).

Secondo figlio dell’avvocato còrso Carlo Maria Buonaparte (Napoleone muterà il cognome in Bonaparte durante la campagna d’Italia) e di Letizia Ramolino, proveniva dalla piccola nobiltà locale che aveva seguito Pasquale Paoli nella sua lotta per l’autonomia dell’isola. Frequentò il collegio militare di Brienne, nella Champagne, per poi passare alla scuola militare di Parigi, dove ottenne il grado di sottotenente d’artiglieria (1785).

Condivise gli ideali di libertà e di eguaglianza della Rivoluzione francese, al cui scoppio rientrò in Corsica, ricoprendo la carica di tenente colonnello della Guardia nazionale còrsa. Quando nel 1793 la Corsica dichiarò la propria indipendenza, Napoleone, considerato patriota francese e repubblicano, dovette rifugiarsi in Francia. Nominato comandante dell’artiglieria nell’esercito incaricato di sedare la rivolta scoppiata a Tolone contro la repubblica, si distinse nell’intervento che portò alla caduta della città, ottenendo la promozione a generale di brigata.

Nel 1795 partecipò alla repressione della rivolta parigina contro il Direttorio e nel 1796, anno in cui sposò Giuseppina di Beauharnais, vedova di un aristocratico ghigliottinato durante la Rivoluzione, ottenne la nomina a comandante dell’armata d’Italia; il corso degli eventi bellici gli avrebbe permesso di salire rapidamente alla ribalta, fino a costituire l'Impero francese.




marco buonarroti

venerdì 29 aprile 2016

RUBRICA DI STORIA :" IL 28 APRILE 1738......CLEMENTE XII.........."

 
Il 28 aprile del 1738, Clemente XII condanna la massoneria tramite la bolla papale "In eminenti apostolatus specula"
                              
 
 
 
                         Papa Clemente XII.( foto da Wikimedia Commons)
 
 
Clemente XII (Firenze 1652 - Roma 1740), papa (1730-1740). Al secolo Lorenzo Bruno Corsini, fu eletto papa dopo un conclave durato ben cinque mesi. Sebbene già anziano e malato, si preoccupò subito di ristabilire la giustizia, punendo gli ecclesiastici che durante il pontificato del suo predecessore, Benedetto XIII, avevano accumulato ricchezze speculando sui benefici. Subito dopo l’elezione, intentò un processo al cardinale Coscia, che venne condannato a dieci anni di reclusione in Castel Sant’Angelo, e provvide alla donazione ai poveri delle ricchezze di cui si era ingiustamente appropriato.
 
 
 Nel 1730 con la costituzione In eminenti condannò le logge massoniche che si erano diffuse in tutta Europa.

In campo politico, Clemente XII si trovò sempre più esposto alle prevaricazioni dei vari governi: i diritti pontifici sul Ducato di Parma e Piacenza e sul Regno delle due Sicilie vennero completamente ignorati dalla Spagna; le reiterate proteste del papa sortirono come unico effetto l’interruzione delle relazioni diplomatiche.
 

 
 
 

                       La Fontana di Trevi (Roma -Foto di Italytraveller.com)


                             Musei Capitolini ( da www.zetema.it-Wikipedia)
 

Clemente fu un grande mecenate: a lui si devono molte opere pubbliche di Roma e i Musei Capitolini, oltre a monumenti quali la Fontana di Trevi, la facciata di San Giovanni in Laterano, il Palazzo della Consulta al Quirinale, la Cappella Corsini.



                                    Palazzo della Consulta ( da Wkipedia.it)



Alla sua morte, fu eletto papa Benedetto XIV.

(Riferim.bibliografico: Microsoft ® Encarta ® 2009. © 1993-2008 Microsoft Corporation)


marco buonarroti           (miei nome e cognome autentici)    

mercoledì 27 aprile 2016

(1) IL BLOG DI MARCO BUONARROTI (COGNOME AUTENTICO DELL'AUTORE DEL BLOG)

Il mio blog :
"mb-www.tuttodituttodal2009.blogspot.com"
(per trovarlo direttamente in rete basta digitare :"il blog di Marco Buonarroti-Vt)

 L'immagine soprariportata ritrae francobolli dell'isola Tristan da Cunha, situata nell'Oceano Atlantico meridionale a ovest di Città del Capo da cui dista circa 1312 miglia nautiche (1 miglio nautico = circa 1852 metri) 

Caro lettore, cara lettrice, leggi le pagine di questo blog scegliendo nell'archivio, qui a destra, gli argomenti che più ti interessano o scorri nella bacheca home di twitter per cercare i post del mio blog che invio per la lettura da parte degli iscritti a twitter.
Disponibile a migliorare il mio blog, in termini di contenuti e impostazione, sarò lieto di ricevere i tuoi eventuali consigli e commenti .
Grazie e onorato della tua lettura, Marco Buonarroti
buonarrotimarco@libero.it




                                (Immagine del poeta prodigio Arthur Rimbaud)

marco.buonarroti@gmail.com


Se t'interessa, potrai leggere un sintetico saggio da me scritto sul giovane poeta Rimbaud.(Consulta l'archivio del blog del mese di dicembre 2015)

(Preciso che Marco Buonarroti è il mio autentico nome e cognome, precisazione dovuta all'indebita appropriazione del cognome" Buonarroti " da parte di iscritti a Twitter). 

RUBRICA DI STORIA:"8 SETTEMBRE 1943 ARMISTIZIO ITALIANO...."

Ripropongo questo post in ossequio al precetto di Cicerone :"Lux veritatis,testis temporum,magistra vitae, historia est"(la storia è luce di verità.testimone dei tempi,
maestra di vita)

Sinteticamente ,riassumo gli eventi che precedettero la richiesta dell'armistizio:
Anno 1943,notte tra il 24 e 25 luglio:
-Nella seduta del Gran Consiglio fascista Mussolini fu messo in minoranza durante la   discussione dell'ordine del giorno che chiedeva "l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Governo, al Parlamento i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie costituzionali".
-Il mattino del 25 seguirono le  dimissioni  e l'arresto di Mussolini.
-Il governo fu affidato dal re Vittorio Emanuele al maresciallo Badoglio.(25 luglio 1943).
(la sintesi omette gli antefatti della seduta per quanto concerne, soprattutto, la parte
avuta dalla Corona nella sua preparazione e successive azioni)

Furono avviate delle trattative segrete con gli Alleati per giungere quindi ad una pace separata.

Armistizio di Cassibile L'accordo  stabiliva le condizioni dell'armistizio chiesto dall'Italia. Fu firmato a Cassibile, in provincia di Siracusa, il 3 settembre 1943 alla presenza del comandante delle forze alleate Eisenhower dai generali Giuseppe Castellano, per l'Italia, e Walter Bedell Smith, per gli Alleati. L'armistizio, articolato in 12 punti, prevedeva che l'Italia si ritirasse dalla guerra e dall'alleanza con la Germania e consegnasse la flotta e gli aerei nelle basi meridionali agli Alleati. L'Italia si impegnava inoltre ad accettare le direttive di ordine politico ed economico che sarebbero state comunicate in un secondo tempo. Secondo gli accordi l'armistizio doveva essere divulgato sei ore prima dell'imminente sbarco angloamericano sulle coste italiane, ma una serie di fraintendimenti tra le parti costrinse a rinviare l'operazione. La notizia dell'armistizio fu diffusa in tutto il mondo da 'Radio New York' l'8 settembre 1943.


              Cassibile: il gen.Bedell Smith alla firma; il gen.Castellano in abito scuro



                                                 Maresciallo d'Italia Badoglio

                                                        Benito Mussolini



      


marco buonarroti            ( miei nome e cognome autentici)