Il 14 giugno del 1837 moriva a Napoli il giovane poeta Giacomo Leopardi, "....il poeta che, negando la vita, più d'ogni altro insegnò ad amarla...." (*)
Leopardi, Giacomo (Recanati, 29 giugno 1798 - Napoli, 14 giugno 1837), poeta italiano, tra i maggiori dell’Ottocento.
E' sepolto nell'atrio della Chiesa di S.Vitale a Fuorigrotta, presso Posillipo.Sulla tomba si legge un'epigrafe del Giordani(**): "Al conte Giacomo Leopardi recanatese /...scrittore di filosofia e poesie altissime / da paragonare solamente ai greci / che fini di XXXIX anni la vita / per continue malattie miserrrima".... (*).
Nel 1939 ,i resti di Leopardi furono spostati dalla Chiesa di San Vitale e portati al Parco Vergiliano, a Piedigrotta nei pressi della tomba di Virgilio.
Opere di maggior rilievo : "I Canti, le Operette morali, lo Zibaldone, l'Epistolario".
Giacomo Leopardi era figlio del conte Monaldi, primo di otto figli, studiò privatamente, dapprima sotto la guida di due sacerdoti e poi da solo, attingendo alla ricchissima biblioteca paterna. Imparò il latino, il greco, l’ebraico e alcune lingue moderne.
A diciotto anni era già un erudito dall’eccezionale formazione filologica, ma la sua salute era ormai compromessa per sempre. Prima dei vent’anni aveva scritto una Storia dell’astronomia (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), e tradotto idilli ed epigrammi di Mosco (1815), il primo libro dell’Odissea di Omero e il secondo dell’Eneide di Virgilio (1816).Nell'età in cui i ragazzi cercano di più il movimento, l'aria, la luce per un bisogno di espansione fisica, egli invece si chiuse in quelle sale severe e polverose, e tutto questo cercò li per un bisogno precocissimo di espansione morale.
Leggendo e meditando tutto il giorno,aveva una folla di pensieri e nessuno a cui esporli o confidarli, e cosi li andò mano mano segnando su cartelle che si fecero alla fine moltissime e che costituirono lo Zibaldone, cioè una raccolta quanto mai varia di spunti, giudizi, sentimenti, idee su ogni aspetto della vita umana, un magazzino prezioso allo stato grezzo e nativo.
Il De Santis(***) scrisse su Leopardi, nel suo bellissmo saggio :" Il mondo esterno non è stata per lui mai cosa solida...egli vive coi suoi fantasmi e coi suoi ideali, solitario; vive nella sua immaginazione forte e calda...e quella biblioteca a poco a poco gli esce tutta di sotto la penna."
Anche il poeta, aprendo l'animo suo in una lettera al Giordani, che allora riteneva il suo più grande amico, ci lascia l'apprezzamento e il ritratto più autentci e dolorosi di sè stesso: " ...io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi andava formando e mi si doveva assodare la complessione. E mi sono rovinato...senza rimedio per tutta la vita, e rendutomi l'aspetto miserabile, e dispregevolissima tutta quella gran parte dell'uomo, che è la sola a cui guardano i più"...Sicchè essi non hanno "coraggio d'amare quel virtuoso in cui niente è bello fuorchè l'anima".
(In questi "sette anni di studio matto e disperatissimo"il ragazzo si tuffa giorno e notte in una attività, tra letture e scritture, che pregiudicherà irreversibilmente la sua costituzione fisica già segnata dai primi sintomi della malattia e visibili nella deformità stessa della persona.Ndr)
La diffidenza di riuscire gradito ai suoi simili gli alza un muro attorno, lo esclude dalla vita che egli guarda con l'intensità appassionata e disperata di chi sta dietro le sbarre.
"Tuttavia, quando vai a sgranchirti sù per la collina, e ti nascondi allo sguardo degli altri in mezzo alle macchie, in quel silenzio non ti coglie forse una gran pace? e non ti sembra di vedere e di vivere oltre " la siepe", oltre l'orizzonte, nell'infinito?
Di questa "sovrumana"sensazione ci narra Leopardi nella sua poesia, ed è motivo insieme, per lui, di sgomento e di dolcezza.
L'infinito ( composto nel settembre del 1819, aveva 21 anni)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e la morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosi tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
(E' tra i canti più alti e intensi della lirica leopardiana: la fusione di cuore, fantasia, intelletto, che tanti romantici cercarono senza riuscire a realizzare.)
Ma questi momenti d'infinito giungono da un mondo tutto ideale e astratto e non valgono a sopprimere la realtà della natura e degli istinti che si manifesta in modi sensibili, precisi, toccanti, e asseta di sè il poeta.
Lo spettacolo della primavera o una notte di luna, o il canto di una giovinetta o il salire d'una speranza sono momenti esaltanti offerti dalla natura.
Ma questa natura, impassibile e incantevole, che ci ha dato la vita come ci darà la morte, perchè, intanto, mentre viviamo, non ci fa felici e ci risparmia dagli affanni?
Qual'è la causa del nostro soffrire?Fu errore o colpa degli uomini a privarli della felicità. a perderli per sempre in un destino senza uscita e senza luce?
Oppure questo silenzio e questo mistero che ci chiudono da ogni parte sono, essi stessi, le leggi della natura immutate,meccaniche, senza perchè ?........
Per me non c'è stato che dolore e disinganno.........
Amore e morte : ecco i poli della nostra vita, il primo perchè muova in noi il sentimento del nostro esistere, l'altro perchè ce lo tolga.
Il poeta cosi li canta :
"Cose quaggiù si belle - Altre il mondo non ha, - Non han le stelle, - Nasce dall'uno il bene,- Nasce il piacer maggiore - Che per lo mar dell'essere si trova; - L'altra ogni gran dolore - Ogni gran male annulla"
Per conoscere davvero il Leopardi dovremmo leggere il suo Epistolario, soprattutto per comprendere in che senso e se egli sia stato un pessimista, parola questa assoluta e negatrice di ogni speranza e di ogni apprezzamento della vita.
Ma abbiamo visto come il poeta ne resti lontano;egli crede nei valori dell'intelligenza e nel conforto della poesia. Se da un lato l'uomo è schiavo della Natura, dall'altro egli la contrasta e si arrovella per non esserne schiacciato.
Se la felicità non è un bene posseduto realmente, essa tornerà nella dolcezza del ricordo o si profilerà nella febbre delle speranze.
Potremmo dire che il Leopardi consideri l'esistenza come un gran mare chiuso tra due sponde:
su una il dubbio e la speranza , e sull'altra la certezza e la verità.
Ma l'importante per l'uomo non è di toccare l'altra sponda, ma di affrontare il gran mare dell'illusione, mentre la caravella lo porta verso l'ignoto.
Forse il poeta era per giungere ad una svolta importante del proprio pensiero.Aveva ancora trentanove anni e un mondo, attorno a sè, in fermento e in formazione, e dentro di sè un'energia sentimentale e critica sempre più prodigiosa.
Ma il povero corpo non ne poteva più, e cedette alla morte dolcemente, rapidamente, senza neppure il tempo di sorbire una tazza di brodo.
Se l'era fatta preparare in tutta fretta per rimettersi sù dall'improvviso malore e recarsi, com'era previsto, alla sua prediletta villa vesuviana delle Ginestre.Ma la carrozza lo attese inutilmente.
La Villa delle Ginestre (Torre del Greco-Napoli)
La stanza del poeta
Note :
(*) dal volume di riferimento bibliografico di seguito riportato .
(**) Pietro Giordani, scrittore illuminista.(Piacenza, 1774-Parma, 1848)
(***) Francesco De Sanctis (Morra Irpinia 1817-Napoli 1883) è stato uno scrittore,critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione e filosofo italiano. Fu tra i maggiori critici e storici della letteratura italiana nel XIX secolo.
Riferimento bibliografico: "Cento Scrittori" di Giacomo Spadafora - Editore Palumbo, pagg. 431, 432, 433, 434, 436
marco buonarroti
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