Dopo avere svolto, dalla fine della seconda guerra mondiale al 1975, un'intensa e apprezzata attività giornalistica si dedicò a quella di scritttore, scrivendo per la Mondadori :
La battaglia di Lepanto. Milano, Mondadori, 1975
Carlo Magno. Milano, Mondadori, 1978
Annibale. Milano, Mondadori, 1980
Maria Teresa, Maria Teresa. Milano, Mondadori, 1982
Cristoforo Colombo. Milano, Mondadori, 1984
Vojussa, mia cara. Milano, Mondadori, 1985
ha vinto il Premio Campiello nel 1978 per Carlo Magno
ha vinto il premio Castiglioncello nel 1984 per Cristoforo Colombo.
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Appassionato di Storia Romana ho riletto il libro "Annibale" di Gianni Granzotto,ed.Mondadori, provando un interesse ben più convinto di quanto non avessi provato anni addietro, (diversi anni), nella verde stagione dell'esistenza.
Introduzione (non fa parte del libro in questione, essa ha solo lo scopo di rispolverare i ricordi scolastici di storia romana per quanto riguarda esclusivamente il generale cartaginese Annibale, mettendo il lettore nelle condizioni di seguire con più interesse, cosi spero, la lettura delle "riflessioni sul libro di Gianni Granzotto").
Annibale (247-183 a.C.), generale cartaginese della famiglia dei Barcidi, figlio di Amilcare Barca. La sua marcia dalla Spagna all’Italia attraverso le Alpi è una delle maggiori imprese della storia militare. A nove anni accompagnò il padre nella spedizione in Spagna, durante la quale, secondo la tradizione, giurò eterno odio nei confronti dei romani. Nel 221 divenne comandante supremo dell'esercito cartaginese in Spagna e proseguì la politica espansionistica dei precedenti comandanti, il padre Amilcare e il cognato Asdrubale, completando la conquista della regione compresa tra i fiumi Tago ed Ebro. L’espugnazione della città di Sagunto (Spagna), alleata di Roma, indusse il senato romano a dichiarare guerra a Cartagine nel 218 a.C..
Annibale, con un esercito di oltre 40.000 uomini e
numerosi elefanti, intraprese la spedizione verso l'Italia, attraversando i
Pirenei, la Francia meridionale e le Alpi. Giunto in Italia nel 218, nella
battaglia del Ticino sconfisse i romani, guidati dal console Publio Cornelio
Scipione, padre del futuro Scipione Africano.
Ottenne una seconda e maggiore vittoria presso il fiume Trebbia, nel dicembre 218. L'anno seguente annientò l'esercito del console Caio Flaminio al lago Trasimeno e passò in Apulia; Roma affidò il comando delle operazioni militari a Quinto Fabio Massimo, detto 'il Temporeggiatore' per la sua intelligente strategia di attesa, nel tentativo di logorare le forze cartaginesi evitando lo scontro diretto. Annibale trascorse l'inverno a Gerontium e nel giugno del 216 fece sostare le sue truppe a Canne, dove il 2 agosto l'esercito romano, comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Caio Terenzio Varrone, subì una clamorosa sconfitta.
La situazione si capovolse a favore dei romani quando l'oligarchia cartaginese rifiutò l'invio di rinforzi in Italia: Annibale, pur conseguendo altre vittorie, non fu però in grado di attaccare direttamente Roma e nel tempo perse il sostegno di molte città italiche. Anche il fratello di Annibale, Asdrubale, partito dalla Spagna in suo aiuto, fu sconfitto e ucciso nella battaglia del Metauro (207).
Ottenne una seconda e maggiore vittoria presso il fiume Trebbia, nel dicembre 218. L'anno seguente annientò l'esercito del console Caio Flaminio al lago Trasimeno e passò in Apulia; Roma affidò il comando delle operazioni militari a Quinto Fabio Massimo, detto 'il Temporeggiatore' per la sua intelligente strategia di attesa, nel tentativo di logorare le forze cartaginesi evitando lo scontro diretto. Annibale trascorse l'inverno a Gerontium e nel giugno del 216 fece sostare le sue truppe a Canne, dove il 2 agosto l'esercito romano, comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Caio Terenzio Varrone, subì una clamorosa sconfitta.
La situazione si capovolse a favore dei romani quando l'oligarchia cartaginese rifiutò l'invio di rinforzi in Italia: Annibale, pur conseguendo altre vittorie, non fu però in grado di attaccare direttamente Roma e nel tempo perse il sostegno di molte città italiche. Anche il fratello di Annibale, Asdrubale, partito dalla Spagna in suo aiuto, fu sconfitto e ucciso nella battaglia del Metauro (207).
Nel 203 il generale cartaginese fu richiamato in Africa per organizzare la difesa contro la spedizione romana guidata da Publio Cornelio Scipione Africano, ma l’anno seguente fu definitivamente sconfitto a Zama. Dopo la conclusione della guerra, Annibale si occupò di riorganizzare l’amministrazione pubblica cartaginese ma, accusato dai romani di costituire una minaccia per la pace raggiunta, si stabilì presso la corte di Antioco III di Siria, con il quale si alleò in funzione antiromana. In seguito alla sconfitta subita da Antioco nel 190 a Magnesia, Annibale si rifugiò in Bitinia, dove si avvelenò per non essere consegnato ai romani.
(Rif.Bibl."Enciclopedia Encarta-Microsoft)
Riflessioni personali sul libro "Annibale"
Il libro, secondo la mia opinione, si può dividere in due parti : l'una che svolge la narrazione delle vicende di Annibale mentre, nella Spagna meridionale, cresce e matura sotto la premurosa guida del padre Amilcare Barca, al cui modello di uomo e di condottiero egli s'ispira; qui prepara l'epica spedizione che, attraverso il leggendario passaggio delle Alpi, lo porterà in Italia, dove finalmente potrà dare forma concreta al sogno di vendetta contro i Romani che avevano vinto la prima guerra contro Cartagine anni addietro.(264-241)
Inizia cosi, in territorio italiano, la seconda parte che vede Annibale compromettere seriamente e drammaticamente il primato militare di una Roma ridotta al panico, evocante i funesti ricordi del "sacco dei Galli", tramandati da padre in figlio quali ammaestramento storico a evitare il ripetersi del lutto e dell'onta subita.
L'autore nella prima parte accosta il lettore a Cartagine, ad Amilcare, ad Annibale giovinetto, in un approccio via via crescente tanto da trasformarsi in un saldo legame d'amicizia, sentimento questo che durerà per tutta la durata della vicenda umana e militare di Annibale in Italia e fino alla sua morte.
Si tratta, cioè, di rivivere gli avvenimenti di quella storia, dal 218 al 202 a.C., dalla parte cartaginese, seguendo Annibale, come fecero i cronisti al suo seguito Sosilo di Sparta e Silèno siciliano di Calatte, dividendo con lui i momenti di gloria, di sofferenze, partecipando alla sua solitudine che è si lontananza dalla patria, ma è anche dimensione interiore nella quale egli stesso si relegò da quando, ancora giovinetto, giurò solennemente al dio Baal, in presenza del padre, odio eterno per Roma; ma noi che, a differenza di Sosilo e di Sileno, conosciamo già i fatti di quella storia per averli vissuti sui banchi di scuola da parte romana, per avere trepidato per le sorti di Roma e dell'Italia, possiamo ora capire le motivazioni di Annibale e la sua carica umana misurata dalla consapevolezza di essersi fatto carico di riscattare le sorti della sua Cartagine, anche se questa non lo appoggiò come lui avrebbe voluto.
L'autore ci invita a riflettere :pesava, infatti, su Cartagine la sconfitta della prima guerra combattuta contro Roma dal 264 al 241, dalla quale era uscita depauperata, prostrata e umiliata.Perduto il suo antico prestigio di potenza mediterranea, rimasta senza la flotta con cui aveva perpetuato l'avita vocazione marinara, doveva ora pensare alla ricostruzione, a riguadagnare le posizioni commerciali e mercantili perdute, ma nel segno tradizionale della pace, bisognava dimenticare la rivalità con Roma, bisognava muoversi su nuove direzioni d'espansione coloniale che non fossero in rotta di collisione con quelle romane; questi erano i punti essenziali della politica proposta dai "pacifisti", guidati da Annone, i quali rappresentevano la maggioranza della classe dirigente e della popolazione; ma faceva,altresi, sentire il suo peso la fazione degli "oltranzisti", facenti capo all'orgoglioso Amilcare Barca, il quale non voleva sentire parlare di pace, di definitiva e scontata supremazia di Roma nel Mediterraneo ; bisognava si riprendere fiato, aggiustare i guasti economici e sociali subiti, ma tutto ciò in previsione della riapertura delle ostilità contro Roma, non appena le condizioni militari lo avessero permesso,allo scopo di riprendersi la rivincita,tanto più che Roma, diceva Amilcare, non è imbattibile.
Aveva ventisei anni Annibale quando, nell'autunno del 218 a.C., giunto con il suo esercito al confine italico, si accingeva a valicare le alpi per "piombare"nella pianura padana dando avvio a quella campagna militare che tanti esiziali effetti avrebbe prodotto sul futuro della repubblica romana e non solo quelli che sarebbero sorti nell'immediatezza del bilancio bellico delle diverse battaglie, ma anche e soprattutto quelli le cui conseguenze si sarebbero manifestate più tardi, a vicenda ultimata, e che lo storico Arnold Toynbee (1889-1975) descrive nel libro "The Hannibal's legacy".
Il tracciato dell'invasione di Annibale
Il passaggio delle Alpi
Il testo è scorrevole per l'efficacia descrittiva, talvolta dai toni romanzati, che trasporta il lettore nella realtà storica dell'argomento trattato senza troppi sforzi intelletivi e mnemonici; i dosati riferimenti cronologici legati ai momenti cruciali; i riferimenti etnografici relativi alle popolazioni indigene iberiche, ma soprattutto quelli delle tribù galliche dell'Italia settentrionale, che tanta parte ebbero nell'impresa annibalica e che furono operatrici di storia romana prima e dopo Annibale; i riferimenti storiografici antichi e moderni; la geografia dell'Italia, integrata da cartine topografiche; i cenni politici e sociali di quella Roma del III secolo a.C., sul cui sfondo si muovono i personaggi consolari che si avvicendarono nello scenario bellico, producendo la storia della "polis"; tutto ciò fornisce al lettore e studente il quadro completo, per lo meno cosi ritengo, nel quale si sviluppano le imprese di Annibale.
La questione del valico alpino scelto da Annibale, rimasto ignoto fino ad oggi, oggetto di dispute fra accademici e non, tutti appassionati, come scrive l'autore, a ricostruire il cammino del generale sulla scorta dei resoconti di Polibio e di Livio, dà la misura dell'interesse che suscita il testo in esame, mentre le conclusioni che ne fornisce l'autore pongono, ancora una volta, in risalto le linee fondamentali cui s'informa lo svolgimento della narrazione, quelle cioè di evidenziare la carica umana dei protagonisti;... "la grandezza di Annibale non sta nell'avere scavalcato i monti da questo o da quel valico. Si sa che voleva passare le Alpi e le passò. Si sa che voleva arrivare in Italia ed arrrivò ....Successo di volontà e lucida prova di vigore morale".Cosi commenta l'autore nel chiudere la descrizione del passaggio alpino.
In Italia passa, nei primi anni, da una vittoria all'altra rendendo tristemente famosi quei luoghi che fecero da teatro alle sue battaglie, ai suoi assedi, ai suoi saccheggi e che furono testimoni dei pesanti e luttuosi bilanci di vite umane.
Ripercorrendo le pagine descrittive di quelle violente e sventurate azioni vediamo Annibale assaporare le prime gioie della vendetta, ormai probabilmente sicuro di essere quanto mai vicino alla conclusione della sua avventura, ma la nostra mente già precorre verso le pagine dei suoi ultimi mesi in Italia, nelle quali leggiamo ciò che Livio, il suo più grande detrattore scrive: ".....ridotto in quell'angolo di terra (Calabria) come una bestia braccata, ma sempre indomito e senza paura".
Vi leggiamo,inoltre, dell'autore :".....trascorse tutta la sua giovinezza in Italia dove apparve a 29 anni e da dove parti a 44 anni". Avvertiamo la misura del dramma che dovette vivere Annibale durante gli anni successivi a quei primi successi costretto, di volta in volta da una realtà sempre più lontana dalle iniziali aspettative, a rimandare sempre il risultato conclusivo; leggiamo infatti : "....si trovava sempre di fronte a nuove forze e nuovi avversari. La vittoria nel senso decisivo e finale del termine rimaneva qualcosa di inafferrabile".Ma si trattò di un dramma durato la bellezza di quindici anni, un tempo che non può non fare riflettere sulla grandezza morale di questo personaggio, per il quale non si può non provare un sentimento di sincera pietà,allorchè, giunto all'epilogo dell'avventura italiana, nelle primavera del 203 a.C., partendo da Crotone : "....si allontanava dall'Italia, lasciava il teatro della sua guerra, della sua vita stessa.
Era arrivato in Val Padana a 29 anni, partiva ora dalle coste calabresi che ne aveva 44. Aveva speso in Italia la gioventù, la speranza, il vigore......rimirò a lungo la costa.......i segni della sua avventura che scomparivano all'orizzonte. Addio Italia ". (dal testo)
Paradossalmente fu Canne, come si apprende leggendo l'interpretazione dell'autore, a segnare il fatale destino che mise Annibale, da allora in poi, nelle condizioni di non potere mai afferrare una vittoria finale, come anni addietro era accaduto a Pirro.
Canne, era un'antica città dell Puglia sulla riva destra dell'Ofanto a pochi chilometri dal mare
Lo schieramento iniziale della battaglia : azzurro per le legioni romane, verde per le forze di Annibale.
L'esercito romano fu accerchiato e distrutto, l'azione inizia con il movimento della cavalleria di Annibale, (sul suo fianco sinistro, vedi freccia verde), che riuscirà nel corso della battaglia a superare il centro dello schieramento romano per accerchiarlo in senso orario e chiuderlo in una morsa mortale.
Se è vero che Canne fu per il cartaginese la più strepitosa delle vittorie, se è vero che essa gli valse l'alleanza di nuove comunità dell'Apulia, del Sannio, del Bruzio, migliorando ulteriormente e sensibilmente la sua posizione strategica, è altrettanto vero che quella battaglia ebbe per Roma un preciso significato : rinnovare totalmente i criteri di conduzione della guerra, ridestare le proprie forze morali, ricostruire un nuovo spirito di suprema collaborazione fra tutte le parti sociali, riorganizzare le forze combattenti chiamandole a sostenere un ostinato sforzo di sacrifcio e di dedizione per la salvezza della patria.
Intorno a Roma si strinsero gli alleati italici rimasti fedeli che,contrariamente alle previsioni di Annibale, costituirono la maggioranza delle popolazioni e municipalità della penisola.
"Quello che Roma fu capace ..resta oggetto di grande ammirazione.Roma come potenza mondiale nacque sulla rovina di Canne".
Di fatto ora erano in lotta da una parte l'eccezionale capacità di un uomo, dalla'altra la forza di una nazione.
L'autore, ormai giunto alle ultime pagine, svolge un'analisi delle possibili cause che determinarono quella "inafferrabilità dell vittoria", senza tralasciare gli aspetti umani legati alla personalità di Annibale ; aspetti che in certa misura, forse, contribuirono al fallimentare epilogo della vicenda: la passione, l'odio implacabile dovettero dare all'azione complessiva del cartaginese un orientamento più sentimentale che politico.
Ma si tratta dell'opinione dell'autore del libro che si preoccupa di essere considerato un eretico, per averla espressa, da chi "ha scienza di storia"; un'opinione, peraltro, inserita fra tutte le altre che egli espone attenendosi strettamente ai fatti storici noti e fornendo spunti di riflessione per un ulteriore approfondimento.
marco buonarroti
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