LA FURIA DEI CERVELLI – Ricorda, con rabbia, Margaret
Margaret Thatcher è morta e, con humour nero tutto anglosassone, potremmo limitarci a rilanciare la petizione nata in rete tempo fa per “privatizzare il suo funerale di Stato”: in tempi di austerity, sarebbe il giusto tributo alla sua eredità, come notava The Guardian nel dicembre del 2011. Perché l’insopportabile rigore europeo di questi anni è il definitivo e fallimentare avvitamento del trentennio neo-liberista inaugurato dalla Iron Lady/Iron Witch nel 1979 e rilanciato da Ronald Reagan nel 1981.
Noialtri, neanche adolescenti nel primo lungo decennio ultraliberista, siamo cresciuti con Morrissey che chiudeva in modo dolente il suo folgorante Viva Hate (1988) con “The kind people/Have a wonderful dream/Margaret on the guillotine”. E nel gorgo radicale della musica industriale degli albori recuperavamo i rumoristi proto-ravers Test Dept che, in supporto con lo sciopero dei minatori anti-Thatcher del 1984-1985, realizzarono il potentissimo Shoulder to Shoulder, in compagnia del South Wales Striking Miners’ Choir. Abbiamo ancora il vinile.
Quindi non abbiamo niente da rimpiangere di quella storia, se non auspicare che quella spavalda e spietata fede nel liberismo selvaggio venga definitivamente seppellita con Margaret. Al contrario potremmo ricordare come lo scorcio tra i ‘70 e gli ‘80 sia stato tanto rigoglioso, quanto oscuro per i sommovimenti culturali e musicali che ci hanno formato. Contro la depressiva repressione cui andava incontro l’Orda d’oro del lungo decennio 1967-1979 (dalla pubblicazione de La société du spectacle di Guy Debord, al nostrano “processo 7 aprile”) si levò la sovversiva rabbia punk prima, quindi la cupa new wave che tracimerà nel nero gotico anticipato da Bauhaus, con Bela Lugosi’s Dead, proprio nell’estate del 1979 (a proposito di ricorrenze: Peter Murphy festeggia i 35 anni di Bauhaus con un tour che approderà a Roma e Milano nel prossimo maggio).
Non è un caso che l’immagine del vampiro, che succhia il sangue e la vita alle sue irretite vittime, compare nella cultura di massa dapprima nell’immenso Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922, quindi nel celebre Dracula del 1931, diretto da Tod Browning, con Bela Lugosi, appunto, quindi sempre nel 1979 con Nosferatu – Phantom der Nacht di quel genio folle di Werner Herzog, con il nero sepolcrale Klaus Kinski e il candido splendore di Isabelle Adjani, accompagnati dalle epiche note di Popol Vuh. È la metafora mortifera del capitalismo che vampirizza la vita delle persone, nel cuore dei fascismi e delle grandi crisi degli anni ‘20/’30 e ‘70 de Novecento.
E proprio in questi giorni ritorna il fantasma in bianco e nero degli anni Settanta italiani, con l’ennesima, oramai neanche più stucchevole, riesumazione del Governo di “non sfiducia” del 1976, che parla al sedicente Governo di “non maggioranza” del 2013. Diciamo da tempo che quel che rimane della classe dirigente di questo Paese sarà per sempre orfana di un nuovo compromesso storico. È la sindrome del torcicollo che opprime soprattutto la sinistra italica e i timorati di Dio di ogni colore: il permanente rimpianto di un piccolo mondo antico.
“Chi non ha un mondo suo si diverte a rimpiangere il tramonto di un mondo altrui”. È la prima invettiva contro il bel mondo edoardiano urlata da Jimmy Porter, rabbioso protagonista di Look Back in Anger di John Osborne (1959, ma prima rappresentazione nel 1956). Ai mesti “governanti” romani consigliamo di andare all’Ambra Jovinelli, fino al 14 aprile: troverete Stefania Rocca (Alison) e Daniele Russo (Jimmy) in Ricorda con rabbia, regia di Luciano Melchionna, con Marco Mario De Notaris (Cliff) e una delle nostre attrici preferite, Sylvia De Fanti (Helena), pronta a ricordarci che ieri come oggi il problema dei giovani è come dare una risposta alla rabbia.
É che questa rabbia, ora, è intergenerazionale. E se prima c’era un Morrissey ad augurarci Make the Dream Real, al giorno d’oggi i sempre grigi burocrati e banchieri di partito e di governo vogliono rubarci definitivamente anche la voglia di sognare.
Anche se forse, almeno per oggi, Don’t look back in anger. At least not today.
Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli La Furia dei cervelli
(09 aprile 2013)
Noialtri, neanche adolescenti nel primo lungo decennio ultraliberista, siamo cresciuti con Morrissey che chiudeva in modo dolente il suo folgorante Viva Hate (1988) con “The kind people/Have a wonderful dream/Margaret on the guillotine”. E nel gorgo radicale della musica industriale degli albori recuperavamo i rumoristi proto-ravers Test Dept che, in supporto con lo sciopero dei minatori anti-Thatcher del 1984-1985, realizzarono il potentissimo Shoulder to Shoulder, in compagnia del South Wales Striking Miners’ Choir. Abbiamo ancora il vinile.
Quindi non abbiamo niente da rimpiangere di quella storia, se non auspicare che quella spavalda e spietata fede nel liberismo selvaggio venga definitivamente seppellita con Margaret. Al contrario potremmo ricordare come lo scorcio tra i ‘70 e gli ‘80 sia stato tanto rigoglioso, quanto oscuro per i sommovimenti culturali e musicali che ci hanno formato. Contro la depressiva repressione cui andava incontro l’Orda d’oro del lungo decennio 1967-1979 (dalla pubblicazione de La société du spectacle di Guy Debord, al nostrano “processo 7 aprile”) si levò la sovversiva rabbia punk prima, quindi la cupa new wave che tracimerà nel nero gotico anticipato da Bauhaus, con Bela Lugosi’s Dead, proprio nell’estate del 1979 (a proposito di ricorrenze: Peter Murphy festeggia i 35 anni di Bauhaus con un tour che approderà a Roma e Milano nel prossimo maggio).
Non è un caso che l’immagine del vampiro, che succhia il sangue e la vita alle sue irretite vittime, compare nella cultura di massa dapprima nell’immenso Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922, quindi nel celebre Dracula del 1931, diretto da Tod Browning, con Bela Lugosi, appunto, quindi sempre nel 1979 con Nosferatu – Phantom der Nacht di quel genio folle di Werner Herzog, con il nero sepolcrale Klaus Kinski e il candido splendore di Isabelle Adjani, accompagnati dalle epiche note di Popol Vuh. È la metafora mortifera del capitalismo che vampirizza la vita delle persone, nel cuore dei fascismi e delle grandi crisi degli anni ‘20/’30 e ‘70 de Novecento.
E proprio in questi giorni ritorna il fantasma in bianco e nero degli anni Settanta italiani, con l’ennesima, oramai neanche più stucchevole, riesumazione del Governo di “non sfiducia” del 1976, che parla al sedicente Governo di “non maggioranza” del 2013. Diciamo da tempo che quel che rimane della classe dirigente di questo Paese sarà per sempre orfana di un nuovo compromesso storico. È la sindrome del torcicollo che opprime soprattutto la sinistra italica e i timorati di Dio di ogni colore: il permanente rimpianto di un piccolo mondo antico.
“Chi non ha un mondo suo si diverte a rimpiangere il tramonto di un mondo altrui”. È la prima invettiva contro il bel mondo edoardiano urlata da Jimmy Porter, rabbioso protagonista di Look Back in Anger di John Osborne (1959, ma prima rappresentazione nel 1956). Ai mesti “governanti” romani consigliamo di andare all’Ambra Jovinelli, fino al 14 aprile: troverete Stefania Rocca (Alison) e Daniele Russo (Jimmy) in Ricorda con rabbia, regia di Luciano Melchionna, con Marco Mario De Notaris (Cliff) e una delle nostre attrici preferite, Sylvia De Fanti (Helena), pronta a ricordarci che ieri come oggi il problema dei giovani è come dare una risposta alla rabbia.
É che questa rabbia, ora, è intergenerazionale. E se prima c’era un Morrissey ad augurarci Make the Dream Real, al giorno d’oggi i sempre grigi burocrati e banchieri di partito e di governo vogliono rubarci definitivamente anche la voglia di sognare.
Anche se forse, almeno per oggi, Don’t look back in anger. At least not today.
Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli La Furia dei cervelli
(09 aprile 2013)
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