CARLO CORNAGLIA – La morte della democrazia
Condannato il primo agosto,
il caiman mantiene il posto
con il cul sul cadreghino.
Ha un bel dir la Severino
che qualunque delinquente
decadrà immediatamente
da ogni carica elettiva
quando una condanna arriva.
Berlusconi, il malfattore
è tuttora senatore,
tutti vogliono cacciarlo
ma si guardan ben dal farlo.
Pur se i voti, in apparenza,
ne consenton la partenza,
fra un cavillo ed un rinvio
il Pd sembra restio
a affondare la sua lama.
Ogni giorno ad un proclama
che ne annuncia la cacciata
segue, pronta, una frenata.
Primo, per il putiferio
che vien se si fa sul serio:
tutti son sotto ricatto
e pur il più mentecatto
sa che prima del bandito
cade con Enrico il mito
del governo a larghe intese
e del Quirinal l’Arnese
perderebbe la sua faccia
per la grave figuraccia.
Ma per fare i Sor Tentenna
che al caiman offron la strenna
di resistere al comando
c’è un motivo più nefando:
sono i franchi tiratori.
Quanti sono i senatori
dell’adamantin Pd
che nell’una diran: sì,
Berlusconi se ne vada?
Quanti, con il non decada,
cercheranno di salvarlo?
Par che sia roso da un tarlo
l’ineffabile Epifani
che, perché il Pd non frani,
il palese voto invoca.
La fiducia sembra poca
nei compagni senatori
che in segreto han fatto fuori
nientemen che Mortadella.
Cento ed un sporchi brighella
l’han bocciato a tradimento
procurando il lieto evento
di far ritornar sul Colle
colui che il caimano volle
per la pacificazione.
Il Re, ingenuo e credulone,
prontamente disse sì
e purtroppo non capì
che la pace aveva un prezzo:
giammai togliere di mezzo
la rovina del Paese.
Col governo a larghe intese
e l’economia allo sbando
gli italian lo stan pagando.
Cento ed un, sono ancor lì,
annidati nel Pd,
a dar la stabilità,
quella che la morte dà!
Carlo Cornaglia
(29 ottobre 2013)
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