M5S: perché Grillo cala (e a volte crolla)
di Andrea Scanzi, da www.ilfattoquotidiano.it
Un calo fisiologico era naturale, ma in alcuni casi il Movimento 5 Stelle è passato dal 40% al 3%. In tre mesi. Distinguere amministrative da nazionali non basta come alibi. Perché questa slavina?
Immobilismo. Molti dei 9 milioni che hanno votato M5S a febbraio hanno avuto la percezione, vera solo in parte, di un Movimento che in Parlamento ha parlato solo di diaria e detto solo no. E il voto non va mai messo in frigo, soprattutto se hai ottenuto il 25%.
Stampa. Il Movimento 5 Stelle è odiato da quasi tutti i media. Se i giornalisti avessero cercato le pulci (vere e immaginarie) a Pd e Pdl come hanno fatto e fanno al M5S, non vivremmo nel paese in cui viviamo. In Italia sei un “giornalista libero” soltanto se voti Pd fingendo di criticarlo; in tutti gli altri casi sei fazioso. Funziona così (prrrrrr).
Lombardismo. La classe dirigente del M5S, soprattutto nei primi due mesi, è stata quasi sempre imbarazzante. Soprattutto quella che andava in tivù. Scegliere Crimi e Lombardi è stato un errore drammatico, dettato peraltro dalla fretta (i capogruppo furono scelti nel famoso raduno in hotel quando i parlamentari neanche si conoscevano tra loro e la Lombardi venne eletta in quanto donna, per diversificarsi dopo l’elezione di Crimi).
Mastrangelismo. Nel Movimento 5 Stelle c’è almeno un 15-20% di scilipotismo. Probabilmente anche un 30%. I dissidenti sono ovunque, anche nel Pd (e non tutti rimangono dentro a contar le stelle come Civati; c’è anche chi finisce nel Gruppo Misto). Però fanno meno notizia. Il problema del Movimento, comunque, non è che i Mastrangeli se ne vadano. Ma che siano stati prima scelti (va be’) e poi eletti.
Cazzeggio. Nei primi mesi, quando tutti lo cercavano, Grillo ha fatto vincere la sua anima di guitto di talento. Un’anima che va benissimo sul palco ma non quando milioni di italiani vorrebbero da te scelte concrete. Farsi fotografare sulla spiaggia, tra maschere e inseguimenti sulla sabbia, ha inizialmente alimentato il suo ego – e strappato qualche risata – ma lo ha poi reso prossimo alla parabola del marziano a Roma. Per un po’ l’alieno fa notizia, ma dopo un po’ rompe gli zebedei pure lui. E nessuno lo cerca (vota) più.
Massimalismo. Dire no al Pd era coerente, e il Pd non ha mai cercato veramente il M5S (tranne qualche panda qua e là). Ma è stato detto male e comunicato peggio. Fare il nome al secondo giro di consultazioni era decisivo, quantomeno per non dare alibi al Pd. La cattiva stampa, che ha già cancellato il caso-Quirinale, ha fatto il resto. Trasformando la buffonata del “è tutta colpa di Grillo” in postulato assoluto.
Comunicazione. Non andare in tivù è stato un errore, come lo è stato mandarci (troppo spesso) attivisti caricaturali o parlamentari oltremodo manichei. I Di Maio, Di Battista e i Morra esistono: perché castrarsi da soli? Nota a margine: farsi gestire la comunicazione da Biondo o Martinelli è come chiedere lezioni di calcio a Blissett. Datevi una svegliata, ragazzi. Ed evitate buffonate tragicomiche come il Vergassola a cui viene “vietato” di fare domande ironiche a Crimi con la scusa del “non personalizziamo la politica, uno vale uno”: più farete così, più riuscirete a far passare i Gasparri per democratici.
Italianità. Quando Grillo chiede agli italiani di non perdere il gusto per l’indignazione, chiede a un pesce di rinunciare all’acqua. La maggioranza degli italiani non si indigna. Mai: si sfoga, si incazza. E poi lascia che tutto rimanga com’era. E’ un paese che ha creduto a Mussolini, a Craxi, che continua a credere a Berlusconi: siamo geneticamente anomali da un punto di vista politico. Accettiamo (accettano) cose e ingoiamo (ingoiano) rospi allucinanti. Dei nove milioni o giù di lì che hanno votato M5S a febbraio, molti lo hanno fatto come sfogo di pancia. Sperando in una sorta di abracadabra immediato: “Adesso arriva Grillo in Parlamento e gli fa un culo così”. Neanche lo conoscevano il programma. Neanche gli interessava. E adesso tanti di loro non lo rivoteranno mai più, adducendo motivazioni ora giuste e ora un po’ meno.
Grullate. Grillo è un grande motivatore, ma anche uno straordinario demotivatore. Alterna up e down micidiali. Durante lo Tsunami Tour avrebbe convinto anche un sasso. Dopo la delusione-Rodotà è intriso di rabbia e frustrazione (legittime, ma controproducenti). Molti post recenti erano effettivamente discutibili, quando non tafazziani.
Memoria. In Italia non c’è memoria storica. Gli errori del Pd durante la rielezione di Napolitano non li ricorda più nessuno. Sarebbe bastato votare Rodotà per avere una storia diversa. Però, ormai, è sempre e solo colpa di Grillo. E guai a chi non è d’accordo.
Utopia. il più grande limite del M5S risiede nell’utopia (infantile) di credere che milioni di italiani possano cambiare mentalmente. Follia pura. In Italia non c’è mai stata una rivoluzione fisica, figuriamoci culturale.
Plebiscito. A febbraio il M5S ha preso troppi voti. Questo ha provocato lo sbarco in Parlamento di figuri improbabili, un aumento di responsabilità non gestibili da “cittadini con l’elmetto” esordienti e un fuoco di fila violentissimo della Casta. La quale, timorosa del cambiamento, ha reagito con la più violenta (poiché apparentemente “quieta”) delle restaurazioni. Decrescere era naturale (crollare, come a Siena o in molte città siciliane, no). Fino a inizio 2012 il M5S era una forza da 3-4%, un anno dopo si è trovata al 25%. Un’accelerazione troppo impetuosa, che ha portato con sé l’inesorabile riflusso.
Succursale. Il Movimento è stato votato da molti italiani come una succursale della sinistra. Come un Ingroia più forte o un Di Pietro più efficace. Chi lo ha fatto, oggi, imputa a Grillo il ritorno di Berlusconi. E non lo rivoterà neanche sotto tortura.
Astensionismo. Il M5S è stata l’ultima diga contro astensionismo e deriva violenta. Ora quella diga è in larga parte saltata. E’ una buona notizia? Per Boccia, sì. Per l’Italia, non lo so.
Conclusione. Da qui alle poco imminenti elezioni nazionali può ancora accadere di tutto. Il M5S ha due strade. Continuare l’implosione. Oppure accettare un ridimensionamento salvifico (un altro 25% non lo ribeccano neanche nei sogni più hard); liberarsi di chi (eletti ed elettori) non c’entra nulla; imparare dai propri sbagli; continuare a fare (unici o quasi) opposizione autentica; e costituire un’alternativa credibile all’inciucismo permanente. Sentinelle vigili, e costruttive, di un potere incancrenito. A voi la scelta.
(14 giugno 2013)
Un calo fisiologico era naturale, ma in alcuni casi il Movimento 5 Stelle è passato dal 40% al 3%. In tre mesi. Distinguere amministrative da nazionali non basta come alibi. Perché questa slavina?
Immobilismo. Molti dei 9 milioni che hanno votato M5S a febbraio hanno avuto la percezione, vera solo in parte, di un Movimento che in Parlamento ha parlato solo di diaria e detto solo no. E il voto non va mai messo in frigo, soprattutto se hai ottenuto il 25%.
Stampa. Il Movimento 5 Stelle è odiato da quasi tutti i media. Se i giornalisti avessero cercato le pulci (vere e immaginarie) a Pd e Pdl come hanno fatto e fanno al M5S, non vivremmo nel paese in cui viviamo. In Italia sei un “giornalista libero” soltanto se voti Pd fingendo di criticarlo; in tutti gli altri casi sei fazioso. Funziona così (prrrrrr).
Lombardismo. La classe dirigente del M5S, soprattutto nei primi due mesi, è stata quasi sempre imbarazzante. Soprattutto quella che andava in tivù. Scegliere Crimi e Lombardi è stato un errore drammatico, dettato peraltro dalla fretta (i capogruppo furono scelti nel famoso raduno in hotel quando i parlamentari neanche si conoscevano tra loro e la Lombardi venne eletta in quanto donna, per diversificarsi dopo l’elezione di Crimi).
Mastrangelismo. Nel Movimento 5 Stelle c’è almeno un 15-20% di scilipotismo. Probabilmente anche un 30%. I dissidenti sono ovunque, anche nel Pd (e non tutti rimangono dentro a contar le stelle come Civati; c’è anche chi finisce nel Gruppo Misto). Però fanno meno notizia. Il problema del Movimento, comunque, non è che i Mastrangeli se ne vadano. Ma che siano stati prima scelti (va be’) e poi eletti.
Cazzeggio. Nei primi mesi, quando tutti lo cercavano, Grillo ha fatto vincere la sua anima di guitto di talento. Un’anima che va benissimo sul palco ma non quando milioni di italiani vorrebbero da te scelte concrete. Farsi fotografare sulla spiaggia, tra maschere e inseguimenti sulla sabbia, ha inizialmente alimentato il suo ego – e strappato qualche risata – ma lo ha poi reso prossimo alla parabola del marziano a Roma. Per un po’ l’alieno fa notizia, ma dopo un po’ rompe gli zebedei pure lui. E nessuno lo cerca (vota) più.
Massimalismo. Dire no al Pd era coerente, e il Pd non ha mai cercato veramente il M5S (tranne qualche panda qua e là). Ma è stato detto male e comunicato peggio. Fare il nome al secondo giro di consultazioni era decisivo, quantomeno per non dare alibi al Pd. La cattiva stampa, che ha già cancellato il caso-Quirinale, ha fatto il resto. Trasformando la buffonata del “è tutta colpa di Grillo” in postulato assoluto.
Comunicazione. Non andare in tivù è stato un errore, come lo è stato mandarci (troppo spesso) attivisti caricaturali o parlamentari oltremodo manichei. I Di Maio, Di Battista e i Morra esistono: perché castrarsi da soli? Nota a margine: farsi gestire la comunicazione da Biondo o Martinelli è come chiedere lezioni di calcio a Blissett. Datevi una svegliata, ragazzi. Ed evitate buffonate tragicomiche come il Vergassola a cui viene “vietato” di fare domande ironiche a Crimi con la scusa del “non personalizziamo la politica, uno vale uno”: più farete così, più riuscirete a far passare i Gasparri per democratici.
Italianità. Quando Grillo chiede agli italiani di non perdere il gusto per l’indignazione, chiede a un pesce di rinunciare all’acqua. La maggioranza degli italiani non si indigna. Mai: si sfoga, si incazza. E poi lascia che tutto rimanga com’era. E’ un paese che ha creduto a Mussolini, a Craxi, che continua a credere a Berlusconi: siamo geneticamente anomali da un punto di vista politico. Accettiamo (accettano) cose e ingoiamo (ingoiano) rospi allucinanti. Dei nove milioni o giù di lì che hanno votato M5S a febbraio, molti lo hanno fatto come sfogo di pancia. Sperando in una sorta di abracadabra immediato: “Adesso arriva Grillo in Parlamento e gli fa un culo così”. Neanche lo conoscevano il programma. Neanche gli interessava. E adesso tanti di loro non lo rivoteranno mai più, adducendo motivazioni ora giuste e ora un po’ meno.
Grullate. Grillo è un grande motivatore, ma anche uno straordinario demotivatore. Alterna up e down micidiali. Durante lo Tsunami Tour avrebbe convinto anche un sasso. Dopo la delusione-Rodotà è intriso di rabbia e frustrazione (legittime, ma controproducenti). Molti post recenti erano effettivamente discutibili, quando non tafazziani.
Memoria. In Italia non c’è memoria storica. Gli errori del Pd durante la rielezione di Napolitano non li ricorda più nessuno. Sarebbe bastato votare Rodotà per avere una storia diversa. Però, ormai, è sempre e solo colpa di Grillo. E guai a chi non è d’accordo.
Utopia. il più grande limite del M5S risiede nell’utopia (infantile) di credere che milioni di italiani possano cambiare mentalmente. Follia pura. In Italia non c’è mai stata una rivoluzione fisica, figuriamoci culturale.
Plebiscito. A febbraio il M5S ha preso troppi voti. Questo ha provocato lo sbarco in Parlamento di figuri improbabili, un aumento di responsabilità non gestibili da “cittadini con l’elmetto” esordienti e un fuoco di fila violentissimo della Casta. La quale, timorosa del cambiamento, ha reagito con la più violenta (poiché apparentemente “quieta”) delle restaurazioni. Decrescere era naturale (crollare, come a Siena o in molte città siciliane, no). Fino a inizio 2012 il M5S era una forza da 3-4%, un anno dopo si è trovata al 25%. Un’accelerazione troppo impetuosa, che ha portato con sé l’inesorabile riflusso.
Succursale. Il Movimento è stato votato da molti italiani come una succursale della sinistra. Come un Ingroia più forte o un Di Pietro più efficace. Chi lo ha fatto, oggi, imputa a Grillo il ritorno di Berlusconi. E non lo rivoterà neanche sotto tortura.
Astensionismo. Il M5S è stata l’ultima diga contro astensionismo e deriva violenta. Ora quella diga è in larga parte saltata. E’ una buona notizia? Per Boccia, sì. Per l’Italia, non lo so.
Conclusione. Da qui alle poco imminenti elezioni nazionali può ancora accadere di tutto. Il M5S ha due strade. Continuare l’implosione. Oppure accettare un ridimensionamento salvifico (un altro 25% non lo ribeccano neanche nei sogni più hard); liberarsi di chi (eletti ed elettori) non c’entra nulla; imparare dai propri sbagli; continuare a fare (unici o quasi) opposizione autentica; e costituire un’alternativa credibile all’inciucismo permanente. Sentinelle vigili, e costruttive, di un potere incancrenito. A voi la scelta.
(14 giugno 2013)
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