domenica 7 luglio 2013

MUSICA:"FESTIVAL PUCCINIANO"

Musica: dedicato a Mascagni e Verdi il Festival Pucciniano

ultimo aggiornamento: 04 luglio, ore 18:52
Firenze, 4 lug. - (Adnkronos) - Con un cartellone di grande qualita' e richiamo parte il prossimo 12 luglio a Torre del Lago (Lucca) il 59/o Festival Pucciniano, con un dittico insolito con la regia di Antonio Calenda: "Il Tabarro" e "La Cavalleria Rusticana" di Pietro Mascagni, primo direttore negli anni '30 del festival che gli viene dedicato nel 2013 in occasione del 150/o anniversario dalla nascita, insieme all'altro grande della lirica, Giuseppe Verdi, di cui ricorre invece il bicentenario dalla nascita.

''Festival Pucciniano e' una perla della cultura non solo toscana, ma internazionale; il che spiega il gran numero di spettatori provenienti dall'estero che affollano le sue rappresentazioni e che ne fanno anche uno strumento efficace di richiamo turistico per la Versilia e la Toscana", ha dichiarato l'assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti alla presentazione dell'evento svoltasi a Palazzo Strozzi Sacrati, presenti anche il neo assessore alla cultura del Comune di Viareggio Glauco Dal Pino, il presidente del Consiglio provinciale Andrea Palestrini e il presidente della Fondazione Festival Pucciniano Giuseppe Ferrazza.

"La Regione continuera' a lavorare per dare continuita' e stabilita' al lavoro di chi vi opera cosi' bene da garantire anche quest'anno una programmazione che si segnala per la sua qualita''', ha assicurato Scaletti.




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Annotazione:



Verdi, Giuseppe

1 INTRODUZIONE

Verdi, Giuseppe (Roncole di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901), compositore italiano. Nato da una famiglia contadina nel Ducato di Parma e Piacenza, allora governato dai francesi, studiò musica con l’organista della chiesa di Roncole e poi con quello della vicina Busseto. Respinto all’esame di ammissione al Conservatorio di Milano per l’età troppo avanzata, ebbe lezioni private da Vincenzo Lavigna, maestro concertatore del Teatro alla Scala e professore di solfeggio al Conservatorio.

Nabucco 1842(Scala),Ernani 1844 Venezia


3 LA CARRIERA OPERISTICA

La carriera operistica di Verdi era ormai brillantemente avviata. Alle radici del successo verdiano vi era il carattere romantico e popolare delle sue opere, che, pur non essendo di taglio prettamente politico, presentavano un legame chiaramente percepibile con l’acceso clima risorgimentale. L’affinità emergeva, più che da vaghe metafore politiche, dal carattere appassionato dei personaggi e dall’energia con cui la musica interveniva nella vicenda, in sintonia con lo slancio ideale e patriottico diffuso in Italia prima dei moti del 1848.

Negli anni successivi Verdi inseguì con determinazione il consolidamento del proprio successo, componendo senza sosta opere di valore diseguale per imporsi sulla scena delle principali città italiane. Nacquero così I due Foscari (1844), Giovanna D’Arco (1845), Attila (1846), Stiffelio (1850) e altre opere, fra le quali spiccano Macbeth (1847, libretto di Piave) e Luisa Miller (1849, libretto di Salvatore Cammarano). Egli stesso definì più tardi questo periodo della sua vita, caratterizzato da una convulsa attività compositiva, come “anni da galera”.

I frutti di questo tirocinio forzato non si fecero attendere: il decennio successivo si aprì con la cosiddetta “trilogia popolare” formata da Rigoletto (1851, libretto di Piave), Il trovatore (1853, libretto di Cammarano) e La traviata (1853, libretto di Piave). Verdi aveva ormai sviluppato un approccio del tutto personale al melodramma, ricco di elementi innovativi nel panorama operistico ottocentesco: nelle opere verdiane le passioni dei personaggi si manifestavano con un’intensità inedita, le vicende erano trattate con realismo ed energia, i protagonisti mostravano con le loro contraddizioni un’umanità che li rendeva vivi e credibili.

4 LE OPERE DELLA MATURITÀ

La fama ormai acquisita e la morte di Gaetano Donizetti, principale concorrente di Verdi in campo operistico, permisero al musicista un maggiore agio nel comporre le opere successive, che risultano più meditate. Diversi elementi mostrano un ampliamento e un approfondimento delle strutture del melodramma. Verdi guardava alla Francia e al grand-opéra parigino, caratterizzato da ampie dimensioni (in genere cinque atti), azioni molto elaborate e grandiosi allestimenti scenici.

È questo il genere dei Vespri siciliani (1855, libretto di Eugène Scribe), che arricchisce la drammaturgia verdiana di un nuovo tema, fondamentale anche in molte opere successive: la passione politica e la tematica del potere come punto focale delle passioni private dei personaggi. A questa seguirono Simon Boccanegra (1857, libretto di Piave), dove ai contrasti a effetto delle opere precedenti si sostituiva un approccio più sfumato e un tono espressivo maggiormente uniforme, e Un ballo in maschera (1859, libretto di Antonio Somma).

Il Verdi delle opere più mature sembra avvicinarsi gradualmente, quasi per cerchi concentrici, al problema chiave del melodramma: la frattura tra aria e recitativo, con il conseguente innaturale frantumarsi dell’azione in pezzi chiusi e senza continuità musicale. In queste opere, così come in quelle successive, si osserva il tentativo di superare questa divisione collegando fra loro i singoli pezzi e praticando una declamazione delle parole che si pone a metà strada fra recitativo e aria.

La forza del destino (1862, libretto di Piave), Don Carlos (1867, libretto di F.-J. Méry e C. du Locle) e Aida (1871, libretto di Antonio Ghislanzoni) mostrano una crescente attenzione per il ruolo dell’orchestra. Il Verdi delle prime opere, autore di accompagnamenti schematici e a volte banali, ha lasciato il posto a un attento conoscitore dell’orchestra.

Dopo Aida la produzione verdiana rallentò sensibilmente. Il mondo musicale italiano era stato scosso dalle prime esecuzioni delle opere di Richard Wagner, che suscitarono interesse e vivaci polemiche. Verdi proseguì tuttavia la propria ricerca musicale, che fu peraltro stimolata dalle novità di cui era foriera l’opera del compositore tedesco. L’aggettivo “wagneriano”, applicato all’epoca a tutto ciò che non era convenzionale o scontato, appare pertanto eccessivo o improprio riferito ai due ultimi capolavori di Verdi, frutto della collaborazione con il letterato Arrigo Boito: Otello (1887) e Falstaff (1893), unica opera buffa della maturità. Con Otello e Falstaff egli portò a compimento il processo iniziato dopo la “trilogia popolare”: il dualismo tra aria e recitativo è infatti qui superato con un declamato melodico in grado di procedere, senza fratture, unitamente all’azione.

Tra le composizioni non teatrali di Verdi figurano la Messa da Requiem (1874), scritta in memoria di Alessandro Manzoni, e il Quartetto in mi minore per archi (1875), unica opera strumentale di ampio respiro.

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Mascagni, Pietro




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