Musica: dedicato a Mascagni e Verdi il Festival Pucciniano
ultimo aggiornamento: 04 luglio, ore 18:52
''Festival Pucciniano e' una perla della cultura non solo toscana, ma internazionale; il che spiega il gran numero di spettatori provenienti dall'estero che affollano le sue rappresentazioni e che ne fanno anche uno strumento efficace di richiamo turistico per la Versilia e la Toscana", ha dichiarato l'assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti alla presentazione dell'evento svoltasi a Palazzo Strozzi Sacrati, presenti anche il neo assessore alla cultura del Comune di Viareggio Glauco Dal Pino, il presidente del Consiglio provinciale Andrea Palestrini e il presidente della Fondazione Festival Pucciniano Giuseppe Ferrazza.
"La Regione continuera' a lavorare per dare continuita' e stabilita' al lavoro di chi vi opera cosi' bene da garantire anche quest'anno una programmazione che si segnala per la sua qualita''', ha assicurato Scaletti.
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Annotazione:
Verdi, Giuseppe
1 | INTRODUZIONE |
Verdi,
Giuseppe (Roncole di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901), compositore
italiano. Nato da una famiglia contadina nel Ducato di Parma e Piacenza, allora
governato dai francesi, studiò musica con l’organista della chiesa di Roncole e
poi con quello della vicina Busseto. Respinto all’esame di ammissione al
Conservatorio di Milano per l’età troppo avanzata, ebbe lezioni private da
Vincenzo Lavigna, maestro concertatore del Teatro alla Scala e professore di
solfeggio al Conservatorio.
Nabucco 1842(Scala),Ernani 1844 Venezia |
3 | LA CARRIERA OPERISTICA |
La carriera operistica di Verdi era ormai
brillantemente avviata. Alle radici del successo verdiano vi era il carattere
romantico e popolare delle sue opere, che, pur non essendo di taglio prettamente
politico, presentavano un legame chiaramente percepibile con l’acceso clima
risorgimentale. L’affinità emergeva, più che da vaghe metafore politiche, dal
carattere appassionato dei personaggi e dall’energia con cui la musica
interveniva nella vicenda, in sintonia con lo slancio ideale e patriottico
diffuso in Italia prima dei moti del 1848.
Negli anni successivi Verdi inseguì con
determinazione il consolidamento del proprio successo, componendo senza sosta
opere di valore diseguale per imporsi sulla scena delle principali città
italiane. Nacquero così I due Foscari (1844), Giovanna D’Arco
(1845), Attila (1846), Stiffelio (1850) e altre opere, fra le
quali spiccano Macbeth (1847, libretto di Piave) e Luisa Miller
(1849, libretto di Salvatore Cammarano). Egli stesso definì più tardi questo
periodo della sua vita, caratterizzato da una convulsa attività compositiva,
come “anni da galera”.
I frutti di questo tirocinio forzato non si
fecero attendere: il decennio successivo si aprì con la cosiddetta “trilogia
popolare” formata da Rigoletto (1851, libretto di Piave), Il
trovatore (1853, libretto di Cammarano) e La traviata (1853, libretto
di Piave). Verdi aveva ormai sviluppato un approccio del tutto personale al
melodramma, ricco di elementi innovativi nel panorama operistico ottocentesco:
nelle opere verdiane le passioni dei personaggi si manifestavano con
un’intensità inedita, le vicende erano trattate con realismo ed energia, i
protagonisti mostravano con le loro contraddizioni un’umanità che li rendeva
vivi e credibili.
4 | LE OPERE DELLA MATURITÀ |
La fama ormai acquisita e la morte di Gaetano
Donizetti, principale concorrente di Verdi in campo operistico, permisero al
musicista un maggiore agio nel comporre le opere successive, che risultano più
meditate. Diversi elementi mostrano un ampliamento e un approfondimento delle
strutture del melodramma. Verdi guardava alla Francia e al grand-opéra
parigino, caratterizzato da ampie dimensioni (in genere cinque atti), azioni
molto elaborate e grandiosi allestimenti scenici.
È questo il genere dei Vespri siciliani
(1855, libretto di Eugène Scribe), che arricchisce la drammaturgia verdiana di
un nuovo tema, fondamentale anche in molte opere successive: la passione
politica e la tematica del potere come punto focale delle passioni private dei
personaggi. A questa seguirono Simon Boccanegra (1857, libretto di
Piave), dove ai contrasti a effetto delle opere precedenti si sostituiva un
approccio più sfumato e un tono espressivo maggiormente uniforme, e Un ballo
in maschera (1859, libretto di Antonio Somma).
Il Verdi delle opere più mature sembra
avvicinarsi gradualmente, quasi per cerchi concentrici, al problema chiave del
melodramma: la frattura tra aria e recitativo, con il conseguente innaturale
frantumarsi dell’azione in pezzi chiusi e senza continuità musicale. In queste
opere, così come in quelle successive, si osserva il tentativo di superare
questa divisione collegando fra loro i singoli pezzi e praticando una
declamazione delle parole che si pone a metà strada fra recitativo e aria.
La forza del destino (1862, libretto di
Piave), Don Carlos (1867, libretto di F.-J. Méry e C. du Locle) e
Aida (1871, libretto di Antonio Ghislanzoni) mostrano una crescente
attenzione per il ruolo dell’orchestra. Il Verdi delle prime opere, autore di
accompagnamenti schematici e a volte banali, ha lasciato il posto a un attento
conoscitore dell’orchestra.
Dopo Aida la produzione verdiana
rallentò sensibilmente. Il mondo musicale italiano era stato scosso dalle prime
esecuzioni delle opere di Richard Wagner, che suscitarono interesse e vivaci
polemiche. Verdi proseguì tuttavia la propria ricerca musicale, che fu peraltro
stimolata dalle novità di cui era foriera l’opera del compositore tedesco.
L’aggettivo “wagneriano”, applicato all’epoca a tutto ciò che non era
convenzionale o scontato, appare pertanto eccessivo o improprio riferito ai due
ultimi capolavori di Verdi, frutto della collaborazione con il letterato Arrigo
Boito: Otello (1887) e Falstaff (1893), unica opera buffa della
maturità. Con Otello e Falstaff egli portò a compimento il
processo iniziato dopo la “trilogia popolare”: il dualismo tra aria e recitativo
è infatti qui superato con un declamato melodico in grado di procedere, senza
fratture, unitamente all’azione.
Tra le composizioni non teatrali di Verdi
figurano la Messa da Requiem (1874), scritta in memoria di Alessandro
Manzoni, e il Quartetto in mi minore per archi (1875), unica opera
strumentale di ampio respiro.
Mascagni, Pietro (Livorno
1863 - Roma 1945), compositore italiano. Intraprese gli studi musicali nella
città natale, componendo i primi lavori, tra i quali si ricorda la cantata La
filanda (trasformata, nel 1883, in un’opera in due atti). Nel 1882 si
trasferì a Milano; qui venne ammesso al Conservatorio e studiò con Amilcare
Ponchielli.
Allontanato dal Conservatorio per indisciplina nel 1885,
per mantenersi Mascagni iniziò la carriera di direttore d’orchestra, girando
l’Italia con varie compagnie d’operetta. Nel 1886, durante una tournée, si fermò
a Cerignola, in Puglia, dove gli venne offerto il posto di direttore della
scuola musicale. Qui compose il suo lavoro più celebre, l’opera Cavalleria
rusticana (1890), basata su una novella dello scrittore siciliano Giovanni
Verga. L’opera, eseguita per la prima al teatro Costanzi di Roma, riscosse un
successo strepitoso e inaugurò lo stile operistico denominato verismo, ispirato
all’omonimo movimento letterario. Il grande favore del pubblico verso
quest’opera influenzò altri compositori italiani come Ruggero Leoncavallo e
Umberto Giordano.
Mascagni compose quindici opere, un’operetta e un
balletto, più musica sinfonica e musica sacra, ma solo Cavalleria
rusticana e L’amico Fritz (1891) vengono regolarmente ancor oggi
messe in scena.
Biografie scritte con l'ausilio di Microsoft Encarta
Marco Buonarroti
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