domenica 14 aprile 2013

ATTUALITA' POLITICA -Grillo tra Rousseau,la società aperta e il millenarismo (dalla rivista " MICROMEGA")

Grillo tra Rousseau, la società aperta e il millenarismo



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La Volontà generale o la società aperta? L’innesto di due direzioni, di cui una (la web-democrazia) vuole essere la soluzione dell’altra (la partitocrazia) conferisce all’azione politica del M5S un tratto millenaristico: la rete (come la vecchia dialettica della storia) porterà al potere i web-cittadini. Un radicalismo molto italiano.

di Giovanni Perazzoli

La sorpresa e la delusione di molti per il “gran rifiuto” di Beppe Grillo a governare con il Pd fa tornare in mente le osservazioni di Hannah Arendt sulla tendenza a non prendere sul serio la narrazione complessiva dei leader carismatici, giustificandola o con un’arbitraria distinzione dell’essenziale dalla mera tattica, oppure come il “prezzo da pagare” per arrivare all’obiettivo principale (salvo poi dover constatare, con delusione, che l’obiettivo principale era proprio quello che si riteneva secondario). Nel caso specifico ci sono anche altre ragioni che concorrono all’errore di non prendere sul serio Grillo. La più importante di tutte è il fatto che in Italia il vecchio sistema è morto, ma il nuovo non c’è, nel senso proprio che manca nelle idee; sicché è facile proiettare tutto quello che si vorrebbe su un progetto di rottura e di cambiamento. Un altro elemento importante, e di “tradizione”, che spiega questa situazione è che da noi la sinistra è stata sempre un fenomeno di proiezione e di aspettative immaginarie: un luogo dell’identità più che della prassi politica. Non abbiamo mai fatto l’esperienza di una vera battaglia politica riformista: sono state proposte favole per poi dar corso ai correlativi inciuci. Poche eccezioni, il divorzio, l’aborto e poco altro. Si aggiunga, last but not least, che con Grillo l’ambiguità è accresciuta da uno stile comunicativo che arriva alla politica partendo dal teatro, e che è dunque pieno di iperboli, esagerazioni, paradossi. Così diventa difficilissimo capire quanto sia serio l’ex comico.

Risultato: chi oggi scopre di non aver preso sul serio Grillo, si trova nella condizione che segnalava Hannah Arendt: ha scambiato il centro del programma per la periferia, trasferendo i propri desideri sul telo vuoto del Cambiamento e mettendo in secondo piano tutto il resto.

Dobbiamo prendere atto che, per Grillo, Pd e Pdl sono davvero lo stesso. Sono lo stesso perché sono partiti. Grillo evidentemente è serissimo quando considera la rete lo strumento salvifico che rende possibile la democrazia in quanto democrazia diretta, oppure quando vede per il M5S una proiezione rivoluzionaria mondiale, o quando considera il “format” (come dice) della web-democrazia come una novità che dall’Italia si estenderà nel mondo.

Il rifiuto di Grillo di lavorare con il Partito democratico sembra nascere così da due impedimenti: uno è legato alle responsabilità contingenti e storiche che attribuisce a questo partito, l’altro, invece, è legato a una ragione di fondo più generale, per la quale il problema non è questo o quel partito, ma il sistema stesso dei partiti. Di conseguenza, la soluzione è scardinare l’intero sistema della democrazia rappresentativa legato ai partiti.

Se questo è vero, è però doveroso domandarsi se il consenso di cui ha goduto il M5S venga dalla condivisione di questo progetto di ripensamento della democrazia e della sua forma. Pare difficile credere che i milioni di persone che hanno votato il M5S abbiano in cima ai loro pensieri la realizzazione della web-democrazia. Dubito, per dire, che Dario Fo coltivi questa prospettiva. La ragione politica del consenso al M5S non credo sia l’idea della rete democratica vista come nuova incarnazione della Volontà generale di Rousseau. Piuttosto, sembra essere quella di far saltare il tappo rappresentato da una élite politico-economica (la “mappa del potere” per dirla con Grillo) che è considerata come causa del declino del paese (perché corrotta, nepotistica, monopolista etc.). Più che una nuova incarnazione del mito della democrazia fondata sulla sacralità della Volontà generale, mi pare che a spingere il consenso verso Grillo, anche in modo inconsapevole, sia l’idea della “società aperta” – che poi non è altro che il tema classico dell’insofferenza verso le oligarchie, i monopoli, le cooptazioni e il servilismo. Grillo stesso ha indicato l’origine del consenso di cui gode nella divisione della società italiana in due blocchi: da una parte, coloro che vivono a ridosso del potere politico, gli “ammanicati”, dall’altra, coloro che, non avendo “santi in paradiso”, non hanno nulla da perdere e sostengono quindi Grillo e la sua “rivoluzione”. Non è un caso che il tema d’avvio del blog di Grillo sia stato quello della precarietà.

Ora, rispetto alla web-democrazia questo tipo di analisi ha una forma politica, individua interessi reali, si pone al ridosso di un conflitto sociale e individua, in modo “classico”, nell’esaurimento di una élite, le ragioni della crisi italiana. Ma l’innesto di queste due posizioni, di cui una (la web-democrazia) vuole essere la soluzione dell’altra (la partitocrazia, l’oligarchia) conferisce all’azione politica del M5S un tratto millenaristico che si può riassumere così: la rete necessariamente (come la vecchia dialettica della storia) porterà al potere i web-cittadini, creando una società nuova nella quale tutti i conflitti saranno risolti.

La rete viene ad assumere lo stesso significato – che infatti non è privo di tratti “teologici” – che ha il “mercato” per il neoliberismo, oppure la dialettica materiale per il marxismo. Il Bene Sociale (o sue variazioni, non stiamo a fare i pignoli) trionfa per interna forza della “mano invisibile” della rete.

Significativo il disimpegno nella battaglia politica concreta. Grillo non solo non ha accettato un accordo con Bersani, ma addirittura non ha preso alcuna iniziativa reale, che fosse commisurata alla forza elettorale e simbolica del M5S, per incalzare il Pd verso la formazione di un governo di cambiamento. Pur trovandosi in una posizione di vantaggio, perché, dichiarando un programma adeguato, avrebbe costretto il Pd a scoprirsi, Grillo ha preferito restare alla finestra, riservandosi solo il ruolo di controllore (che però risulta falsato dal suo rifiuto di costruire un governo: di fatto spingendo verso il governissimo di cui non potrà non portare una grossa responsabilità politica).

Grillo evidentemente confida nel fatto che sia la Storia a gonfiare le sue vele. La politica non gli serve. Sarà la rete a portare inesorabilmente alla morte del vecchio sistema e a incoronare il nuovo.

Tornando però alla politica, il mondo è pieno di rivoluzioni abortite e di società che si trascinano sopravvivendo al loro fallimento. E la storia italiana ha conosciuto molteplici esempi di questi fallimenti. Quella di Grillo sembra però l’ennesima incarnazione di un radicalismo non nuovo nel pentolone dell’ideologia italiana, che rielabora di continuo temi della teologia politica cristiana. Riferimenti di tipo millenaristico sono del resto evidenti non solo nei discorsi di Grillo, ma anche nei video di Casaleggio, in cui si riscontrano le caratteristiche dei discorsi profetici. I riferimenti a Grillo come ad un nuovo Savonarola appaiono più fondati di quanto possa sembrare.

L’Italia però non ha bisogno di Savonarola, bensì di Machiavelli: della politica e non dell’ennesima profezia. Nel nome della profezia, infatti, come sanno bene gli storici delle religioni, qualsiasi fesseria, crudeltà, conservazione, può essere legittimata. Il leader non è mai in discussione. In nome della profezia dell’avvenire radioso si sono giustificate povertà e morte: e il vero realismo cinico è quello dell’astuzia della storia che sacrifica l’individuale e contingente per l’Avvenire di domani. Ma questo significa che la politica (proprio quella di Machiavelli, ovvero quella che si misura sul successo o sull’insuccesso nel qui è ora) è l’unica garanzia che il cittadino ha per giudicare razionalmente l’operato di un movimento politico. Il resto sono fantasie.

Nel successo del M5S si coltiva un’illusione: che sia stata la rete a portarlo al successo. Ma in realtà non è la rete che sta dissolvendo i partiti seguendo una logica inesorabile interna alle cose: è al contrario la debolezza del sistema italiano che ha fatto sì che un blog, per quanto importante, bastasse a conseguire risultati senza esempio nel mondo. Non è la rete ad essere potente, ma è il sistema politico che è fallito. Di più. La capacità di mobilitazione di Grillo ha dimostrato l’alibi che si nascondeva dietro l’insufficienza dei mezzi di comunicazione in dotazione del Pd rispetto a Berlusconi, rivelando la reale debolezza propositiva e organizzativa del Pd, che ha perso sistematicamente consenso, pur avendo a disposizione televisioni, giornali di partito, un’organizzazione sul territorio. Tanto più Grillo riempiva le piazze, tanto più il Pd appariva floscio e ingannevole. Il dato sconcertante è che un blog ha ottenuto quello che il Pd non ha ottenuto per due decenni. L’idea di conquistare il centro e di non demonizzare il principale leader dello schieramento avversario, e tutto l’apparato dei richiami all’annullamento di se stessi su cui i politici del Pd hanno puntato per vincere, cioè per perdere, le elezioni è stato smentito nel modo più clamoroso da un semplice blog. Da un testo, senza immagini, senza colori o figurine. Che ulteriore prova vogliamo del fatto che questo sistema sia all’ultimo stadio?

Ma la debolezza del Pd non è solo malafede, Grillo ha davvero visto, insieme alla rielaborazione di cose vecchie, qualcosa di nuovo. Senonché, il rovesciamento dei termini (la rete vince perché è la rete) perde questa novità e offre un’illusoria immagine capovolta: che la crescita del M5S sia inarrestabile perché inarrestabile è la crescita dell’influenza della rete e della web-cittadinanza. In realtà, grazie al risultato elettorale, Grillo avrebbe oggi la possibilità di ottenere con la politica quello che egli si aspetta arrivi dalla forza della rete. Oggi che ha strumenti e leve che gli danno la possibilità di incidere nella politica italiana in modo incomparabilmente maggiore rispetto a quanto gli permetteva il suo blog, il suo stare alla finestra lo equipara simbolicamente ai “partiti”.

Incalzando il Pd con un programma di governo, con nomi, proposte, appelli, condizioni, non avrebbe aiutato il Pd, lo avrebbe messo in seria crisi. L’alleanza con il Pd non solo avrebbe mandato a pezzi il Pdl, liberando l’Italia da Berlusconi, avrebbe anche messo in difficoltà l’area inciucista del Pd, costringendo questo partito a trasformarsi. Grillo crede che il Pd si dissolverà nell’abbraccio con il Pdl. Lo pensano in molti, sembra un assioma. Ma proprio è vero? L’alleanza con Grillo sarebbe stata di molto più pericolosa per il Pd, perché avrebbe dovuto sacrificare qualcosa di più dell’immaginario: il potere. Tanto più che, riconosciuto dall’elettorato del Pd come partito “amico”, il M5S avrebbe attratto più voti da parte dei disillusi di quanti non ne attrarrà mai nel ruolo del nemico. In concreto, con apparente difesa della “coerenza” Grillo lascia l’Italia nelle mani dei partiti: l’elezione del Presidente della Repubblica vale una carta di sette anni: e che cosa sarà di Grillo e del suo Movimento tra sette anni? I presidenti di Camera e Senato cadranno con la legislatura, ma non il Presidente della Repubblica. La non-mossa di Grillo lascia tutto intatto nell’attesa della decrescita felice.

Abbiamo assisto a un balletto assai strano. È talmente difficile l’alleanza del Pd con il M5S che c’è da pensare a un bluff, a una falsa apertura di Bersani: ma tanto più, allora, Grillo avrebbe dovuto obbligarlo a scoprire le carte. Questo mi pare rivelativo: Grillo non ha fatto la mossa politicamente più ovvia, che non era quella di allearsi con il Pd incondizionatamente, ma quella di scoprire davvero il gioco, ovvero di giocare: ha scelto invece di passare la mano, sicuro che il mazzo gli riserverà la vittoria. Ha senso? Machiavelli, di nuovo, ci ricorda che la Fortuna è donna: che la virtù dell’”impetuoso” è da preferire a quella del “respettivo”.

E tuttavia, è vero, l’incontro con l’occasione resta un fatto della Fortuna. Potrebbe anche accadere, in altre parole, che il mazzo risulti favorevole a Grillo. Ma potrebbe anche non essere così. Quello che resta è un comportamento politico assai singolare, che mette in gioco il paese sulla fiducia nella sorte e che mostra una rigidità che genera allarme e diffidenza.

Le ragioni più “politiche” del “gran rifiuto” non bastano infatti a spiegare la scelta attendista. La possibile esplosione della vicenda del Monte dei Paschi di Siena avrebbe indebolito il Pd e rafforzato il M5S, non li avrebbe coinvolti entrambi in quanto forze di governo. Al contrario, le (ulteriori) macerie prossime venture del Paese molto probabilmente cadranno anche sul M5S, che non si è assunto alcuna responsabilità (e Bersani ha fatto del tutto per imprimere bene nella memoria di tutti che è Grillo che è sfuggito a un accordo). L’unica spiegazione politica che avrebbe un senso razionale, ma naturalmente piuttosto cinica, è che Grillo voglia lasciare ai partiti il compito delle scelte dolorose (ma allora avallate come necessarie) per rimettere in ordine i conti.

Ho però l’impressione che il motore del “rifiuto” sia il Disegno complessivo, e non il calcolo cinico. L’obiettivo è ottenere (iperbole, ma chiara) il 100% dei consensi per mettere la democrazia nella mani dei cittadini e tornare alla vita privata. Il progetto è quello di realizzare in Italia la prima forma di democrazia della rete. Come le banche sono nate in Italia, anzi a Genova, così la nuova democrazia … Non è marginale il continuo riferimento dei 5 Stelle alla rete (eleggono il presidente della Repubblica online, deputati e senatori sono stati eletti in rete, le soluzioni si trovano in rete …).

Ora la rete indubbiamente modifica la comunicazione politica e la democrazia. Ma una cosa è questo, un’altra cosa è fare della rete un feticcio. La rete è un mezzo, non un fine. Vale per i contenuti che può diffondere, non perché in se stessa sia una sorta di luogo sacro rivelativo della legittimazione democratica, il luogo nel quale, connessi tra loro, gli individui producono la Storia. La rete non è il luogo in cui si realizza il miracolo della deliberazione senza conflitto, la terra promessa della soluzione della politica e della nascita di una nuova cittadinanza. Abbiamo scomodato Rousseau, Popper, scomodiamo, sempre “per analogia”, anche Hegel: la rete sembra essere concepita come una specie di Spirito assoluto che connette e supera il particolare e lo trasforma in Universale, il luogo dove tutte le differenze sono risolte e continuano a vivere soddisfatte.

Ma la dimostrazione che questa idea non funziona la offre l’esito delle elezioni online di deputati e senatori del M5S. Le figure emerse non sembrano corrispondere alle aspettative (non si è visto Napoleone, per dire, e neanche il suo cavallo): non è emersa in modo inconfutabile quella classe politica alternativa (alternativa nel suo stesso modo di essere classe politica) che era la promessa del M5S, ovvero quello che tutti si aspettavano. Da questo punto di vista il M5S ha fatto flop, e lo ha fatto proprio rispetto all’immaginario su cui aveva fatto leva. Ma la cosa è tanto più interessante in quanto è facile capire che, in fondo, le ragioni che portano Grillo e Casaleggio a mandare in prima linea dei rappresentati spaesati è la stessa che ha dissolto l’Idv di Di Pietro con l’elezione dei vari Scilipoti: la necessità di controllare il movimento e la paura che personalità forti e autonome possano sfuggire di mano. Con la rete questa logica c’entra poco. La vicenda invece rilancia la selezione interna ai partiti, che, alla luce di quello che vediamo, risulta assai più democratica della elezione da parte della Rete.

Il voto ai 5Stelle non era “qualunquista”: il fatto nuovo, di cui bisogna tenere conto, è che il successo di Grillo ha dimostrato con ogni evidenza quello che da decenni è stato detto in altri luoghi: che esiste un elettorato che vuole un cambiamento e che non è vero che l’Italia abbia una maggioranza profonda ineluttabilmente berlusconiana. Ma questo non basta. Il problema vero è che e se il vecchio è morto, del nuovo non siamo ancora capaci. Perché nel vecchio c’è qualcosa che ci riguarda tutti.

(12 aprile 2013)

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