martedì 11 novembre 2014

SOCIETA' E GIUSTIZIA SOCIALE

Cari lettori e care lettrici Vi propongo la lettura di questo articolo veramente interessante, ovviamente dal mio punto di vista; un po' lungo ma ne vale la pena ! 

marco buonarroti (autore del blog)


 Da " ArticoloTre"quotidiano on line

Verso una rivolta globale? 


rivolta-Sergio Calzone- Mancano poco più di quattro anni al centenario del 1919, una data che è stata fondamentale nella storia d’Italia e, in prospettiva, in quella del mondo intero.
Ciò che quell’anno ha visto dovrebbe far riflettere chiunque, e non soltanto in Italia. Che cosa avvenne, infatti?
La classe politica era screditata (allora, come oggi), in quel caso per la sua presunta debolezza nel far valere gli interessi italiani alla Conferenza di Pace (come oggi nell’Unione Europea); le industrie soffrivano di una grave crisi di riconversione (allora, come oggi), in quel caso per trasformare gli impianti di produzione bellica in produzione civile (come oggi la produzione metalmeccanica in produzioni rivolte al futuro); i salari erano in ribasso (allora, come oggi), in quel caso per l’utilizzo, durante tutto il conflitto, di manodopera femminile, sottopagata, il cui salario si voleva ora applicare ai reduci, ricattati tra l’accettare o la disoccupazione (come oggi l’eccesso di domanda rispetto all’offerta consente facili ricatti salariali); la disoccupazione era molto alta (allora, come oggi), in quel caso per la chiusura di molte aziende (realizzati i profitti di guerra, non si voleva spendere per la riconversione) e per il motivo precedentemente detto.
Gli industriali erano in una posizione di forza (allora, come oggi), poiché un governo debole e un sovrappiù di manodopera consentivano loro di rifiutarsi di rinnovare i contratti di lavoro (come oggi la crisi economica permette l’erosione del potere sindacale e il precariato); l’opinione pubblica sentiva una sostanziale insicurezza (allora, come oggi), poiché era scossa dalle proteste operaie (come oggi); la Sinistra era divisa tra riformisti e massimalisti (allora, come oggi) e, di fronte alla crisi economica, propugnava, gli uni, riforme, gli altri, la rivoluzione (come oggi, il PD rischia continuamente un’emorragia a Sinistra, sulla spinta dello spostamento al Centro, e oltre, di Renzi).
L’occupazione delle fabbriche da parte operaia come ultima ratio (allora, come forse oggi) distaccava il mondo operaio dal resto della società.
La Storia ci insegna dove tutto ciò ha portato: la rapida scalata al potere dell’estrema Destra e la dittatura. E non soltanto: il “modello” fascista fu poi seguito da Salazar in Portogallo e da Hitler in Germania, con le conseguenze note.
Tutto ciò non significa che questo schema, così inquietante nelle sue similitudini, debba portare, nel nostro secolo, allo stesso esito. Tuttavia è forse interessante comprendere quali meccanismi abbiano condotto al discredito della politica, da una parte, e alla tentazione della violenza da parte degli esclusi.
Una recentissima indagine della Oxfam, il grande agglomerato di Ong a carattere mondiale, rivela che l’1% degli italiani, cioè i 600.000 ricchi del Paese, possiede, insieme, un patrimonio superiore a quello di 36 milioni di compatrioti e che, a parte tutti costoro, i poveri assoluti sono ben 6 milioni. Una situazione parossistica di questo genere produce uno squilibrio che, oltre a essere evidente, è terribilmente pericoloso: non occorre esercitare terrorismo economico, per capire come questo 1% possa condizionare e, anzi, determinare qualsiasi iniziativa politica, sia d’indirizzo normativo, sia di iniziativa fiscale, sia di controllo dell’ordine pubblico.
Va da sé che non esista soltanto l’Italia e che, anzi, uno sguardo limitato a un solo Paese sia, oggi, uno sguardo miope. La stessa Oxfam informa che, nel mondo, 85 super ricchi possiedono quanto tre miliardi e mezzo di persone. Non è un errore: 85 individui hanno tra le loro mani la stessa ricchezza che si ottiene da quanto è posseduto da metà della popolazione mondiale.
Quale prezzo pagano fatalmente i popoli, le speranze dei giovani, l’ambiente, le pari opportunità, ma persino la cultura e la democrazia, in una tale situazione? Quali possibilità di riscatto hanno quelle masse di centinaia di milioni di diseredati totali, di fronte al fatto che gli 85 più ricchi del mondo guadagnano, OGNI GIORNO, più di 536 milioni di euro? Con quale facilità essi possono garantire ai propri figli condizioni globali (alimentazione, studi, sanità, conoscenze, capitali) atte a perpetuare questa élite e renderla, anzi, sempre più distaccata dal resto dell’umanità?
Come nel 1919-21, in Italia, oggi tutto il mondo rischia di arrivare rapidamente a un punto di rottura. I segnali dell’aumento della violenza sono sotto gli occhi di tutti e vanno dal giardino di casa nostra (la percentuale di scontri violenti, scoppiati in occasione di inizialmente pacifiche dimostrazioni di protesta), fino al flusso di arruolamenti che, dall’Europa, vanno a ingrossare le fila dell’IS, in Iraq e in Siria. Quando non si ha più nulla da perdere, la violenza non è soltanto uno sfogo, ma diventa la necessità per dire “Io sono”. Se i giovani musulmani europei di seconda generazione (per l’Italia) o di terza (per Paesi come la Francia o il Regno Unito) sono attratti dall’IS, è perché, dopo aver visto i loro padri o i loro nonni accettare le regole del lavoro europeo (regole, non illudiamoci, spesso durissime), ora che lavoro non c’è, vogliono riscattare quelle che considerano, e forse lo erano davvero, le umiliazioni subite da quei padri e da quei nonni. Vogliono battersi, come i neri americani di Malcolm X. Nella lotta, cercano, non tanto la vittoria, quanto il riconoscimento di un’individualità che non hanno più.
Non si tratta, come qualcuno frettolosamente potrebbe concludere, di “capirne le ragioni e, dunque, dar loro ragione”: non funziona in questo modo l’analisi politica o economica. Lo stesso discorso, lo si potrebbe fare per un operaio di Bagnoli o per un minatore di Carbonia.
Il potere annichilente di quei 536 milioni di euro di guadagno giornaliero (non dimentichiamo che, diviso per 85, dà mediamente un guadagno di 6,3 milioni di euro al giorno, tutti i giorni) agisce sugli uni e sugli altri; agisce sugli operai cinesi, sui contadini africani, sui minatori boliviani, ma anche sugli insegnanti messicani, sui pescatori norvegesi, sui consumatori di tutto il mondo, poiché, si è detto, determina politiche economiche, sanitarie, ambientali, alimentari.
Tassare i ricchi? Qualche lettore griderà: “Ecco il comunista! Doveva pur arrivare a questo!” Ebbene, lo stesso rapporto Oxfam segnala che, negli ultimi 25 anni, le tasse a carico dei più ricchi sono diminuite nel 96% dei Paesi di cui è possibile avere datti attendibili. Detto in parole più semplici, quasi ovunque i ricchi sono diventati più ricchi e hanno pagato sempre meno tasse.
Rivolgendosi ad alcuni vescovi africani, Papa Francesco ha detto: “La maggior parte delle persone riesce a identificarsi immediatamente con Gesù, che era povero ed emarginato, che non aveva un posto dove poggiare il capo. Nel rispondere a queste esigenze pastorali, vi chiedo di offrire, oltre al vostro sostegno materiale, un maggior aiuto spirituale e una solida guida morale, ricordando che l’assenza di Cristo è la povertà più grande di tutte”.
C’è purtroppo, in queste parole, una resa allo stato di fatto: i poveri imparino a essere poveri, poiché per essi l’unica speranza sta nell’Aldilà.
Un Papa non può certo incitare alla rivolta, ma quanto tempo ancora, dati alla mano, il sistema globale, così come è stato costruito dai super ricchi, reggerà e invece quando questa rivolta terrificante avverrà comunque?

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