Caro amico,
è trascorso tanto tempo da quando ci dicemmo addio;ultimamente mi sono sentito con mia madre tramite satellite e mi ha detto che stai bene e che hai intenzione di sposarti ed ha aggiunto che sei arrabbiato con me per il mio silenzio.
Non ti ho scritto prima d’ora perché aspettavo il momento in cui avessi  potuto dirti che ero guarito da quei miei malanni interiori che m’  indussero ,anche dietro tuo consiglio,a separarmi dalle poche persone  che amo,per andare a vivere un po’ qua e un po’ la,in giro per il mondo.
Ricordo ,come se fosse ieri,il nostro ultimo incontro, prima della mia  partenza,quando mi dicesti per l’ennesima volta:” ….vai, ..parti,e  .cerca di capire cosa vuoi,soddisfa,finalmente, questa tua esigenza di  libertà; perché ami il mare ?...perchè esso è libertà….qualunque tipo di confine,in fin dei conti, ti è sempre stato stretto come al tuo tanto  amato gabbiano Jonathan Livingston il quale,cosi mi hai  raccontato,abbandona il suo stormo per volare verso la libertà…..”.
Ti scrivo comunque anche se quei miei malanni permangono ;non posso ancora dirti ,infatti,di avere trovato quella serenità a cui aspiravo prima di partire ;assaporare la libertà indugiando in luoghi di volta in volta  sempre diversi,gustandone la bellezza e l’unicità,e avvertendo ogni  volta un’ inebriante  gioia per essere li  in quel momento,non mi esenta dal percepire una profonda  solitudine che sento anche quando sono in  mezzo a folle festose o in compagnia di persone anch’esse in cerca di  qualcosa che forse non troveranno mai; si tratta anche in questo caso di un altro “malanno interiore”? è forse la solitudine  il costo che debbo pagare per conquistare la libertà?;Mi chiedo,caro amico,se esiste una  scappatoia per non pagare questo  pesante tributo.Affido,comunque, al  prossimo futuro il compito di darmi delle risposte.
Di recente  ho conosciuto una coppia di australiani ,lui cinquantenne  ingegnere meccanico,lei, di poco più giovane,ginecologa,vivono su una  barca ormeggiata a fianco della mia;hanno venduto e regalato tutto,la  casa e gli altri beni,si sono dimessi dai rispettivi impieghi e si sono  gettati anch’essi nell’avventura della ricerca di un bene diverso. Ogni  volta che approdano in un porto lei si presenta all’ospedale del posto  per offrire la propria opera come medico volontario     mentre lui,in  banchina nel porticciolo, si fa in quattro per aiutare chi ha bisogno di interventi ai motori per piccole avarie e manutenzioni dispensando  spiegazioni e consigli; è un mese che sono arrivati e già tutti,nel  porticciolo, vogliono loro un gran bene.
Condividiamo spesso quei   momenti nei quali  avvertiamo il bisogno di parlare della nostra scelta,di dargli un significato quasi a volere imbonire le  nostre coscienze per evitare la loro sentenza di colpevolezza di egoismo ed ogni volta concludiamo che questo giudizio non può attagliarsi a noi poiché amiamo il mondo intero,amiamo le genti che lo abitano,amiamo la  natura e la sua maestosità ed è per tutto ciò che siamo partiti dalle  nostre dimore, per sentirsi più liberi di amare .
Riprendo a scriverti oggi ,mentre sono in navigazione, in uno di quei momenti di commovente bellezza, e anche di tristezza, che si ripetono ogni giorno  ma che sembra si rinnovino ad ogni tramonto:dal sole spaccato a metà da  un tagliente orizzonte sgorgano i suoi raggi sanguigni che si diffondono ovunque nel cielo e nel mare,stupefatto osservo tanta bellezza e  nell’attesa del lento calare della notte il mio pensiero corre verso il  passato : mi mancano le nostre conversazioni,le tue riflessioni  pacate,mi manca quel tuo affettuoso indagare per aiutarmi a trovare una  ragionevole spiegazione alla mia irrequietezza.
Sin dai tempi del liceo ti sei sempre generosamente speso per me più di  quanto io non abbia fatto per te e quando me ne rammaricavo tu,con un  fare da sapientone,mi citavi:”..amici  est consulere amico…”di  ciceroniana memoria; mi torna in mente la tua predilezione per le  citazioni e proverbi latini ,scommetto che non hai perso la tua verve  classica e che in banca  ti sarai già fatto la nomea di latinista,del  resto ben meritata tenuto conto del primato che hai sempre avuto nella  materie umanistiche;  ricordo  i giorni spensierati e goliardici del  liceo ,lo scambio dei compiti durante le prove in classe, io ti passavo  il compito di matematica e tu quello di latino,la prima sigaretta fumata in bagno accalcati insieme con gli altri compagni alle finestre per  fare uscire  il fumo il cui odore però si attaccava alle pareti  cosicché  il bidello,lo chiamavamo Caronte,faceva il suo rapporto al  vicepreside che iniziava cosi a rimbrottare le classi predicando contro  il fumo e ricordando la punizione per chi fosse stato colto in  “fragranza di reato”,ma non so quanto egli stesso fosse convinto della  necessità di punire ,dato che gli sarebbe bastato entrare nei bagni durante la ricreazione e non solo durante la ricreazione per pizzicare qualche esordiente fumatore.
Ricordo il professore di educazione fisica,uno dei pochi insegnanti laici  dell’Istituto,al quale affibbiasti proprio tu, in seconda liceo,il  soprannome di “ducetto”per il suo atteggiarsi solenne e autoritario e il quale soleva fare l’appello con la classe schierata su un’unica riga e  sull’attenti;
non dimenticherò mai quel giorno in cui, mentre stava eseguendo il salto  del cavalletto per mostrarci la tecnica dell’esercizio-aveva appena  spiccato il salto sulla pedana-fece il suo ingresso in palestra il padre rettore  il quale,dopo avere inciampato su un irriverente pallone  calciato di straforo da un nostro compagno,perse l’equilibrio e con il  corpo vacillante si aggrappò istintivamente ad un vicino provvidenziale  armadio per evitare la caduta che avvenne comunque e che lo fece finire  su un altrettanto benedetto materassino con le gambe e la tonaca  all’aria;   l’armadio  rovinò sul pavimento con tutto il materiale  ginnico contenuto in esso,il frastuono fu tale che il “ducetto”ormai in  aria si voltò verso il rumore ,non l’avesse mai fatto,perché perse la  presa delle mani sul cavalletto cadendovi sopra a gambe larghe;emise un  sordo grugnito per il dolore parandosi con le mani “quelle parti  delicate”; tutti noi sbottammo d’impeto in una fragorosa e, forse,  sconveniente risata,ma fummo capiti e i due illustri malcapitati  risero con noi.
Ricordo quando mi esortavi a vincere la mia timidezza nei confronti delle  ragazze che andavamo ad aspettare all’uscita del vicino istituto  magistrale;tu t’innamoravi spesso,ti piacevano le ragazze  bionde,dicevi,e poi quelle brune e poi ancora le rossicce; ti ammiravo  per i tuoi successi; tra tutte le ragazze che insieme abbiamo conosciuto ne ricordo una in particolare  graziosa,esile e gentile,le piaceva  ascoltare le mie fantasticherie e i miei progetti avventurosi,ci  frequentammo fino alla maturità,ci perdemmo poi di vista.
Mia madre mi ha accennato per telefono che la tua futura compagna è una  collega di banca e a giudicare  dal  modo con cui gliene hai  parlato,dice,ne devi essere molto innamorato; sono felice per te  ,sicuramente sarò presente quando dirai il fatidico:”SI”; a proposito di che colore sono i suoi capelli?
                                                       Il tuo amico di sempre.
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marco buonarroti


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